martedì 23 giugno 2009

La morte dell'immagine



Un po' di autocelebrazione 1: anche il noto debunker Maurizio Blondet si è accorto dello Stato biscazziere, e gli dedica un pezzo.
Autocelebrazione 2: ho sempre desiderato essere sulla copertina della settimana enigmistica, la rivista che vanta innumerevoli tentativi d'imitazione. Sono orgoglioso quindi di apparire sull'unico giornale cartaceo degno di essere letto, che giganteggia in qualità dell'informazione e stimolo intellettuale in questa discarica a cielo aperto che è diventata la carta stampata italiana, e che non a caso annovera anche mio fratello tra i suoi prezzolati professionisti.
I padroni della comunicazione sono anche i becchini dell'utopia, il loro funzionalismo segue l'estetica del mercato e ogni cosa è considerata oggetto di consumo. Siamo nel tempo che preferisce l'immagine alla cosa, la copia all'originale, l'apparenza all'essere.
In quest'epoca di decadenza da basso impero romano, cui seguirà il già cominciato neo-feudalesimo, viviamo il capezzale anche della fotografia. Un sentore nauseabondo pervade gli italici costumi, costruiti sulle immagini di carni umane sfatte e rifatte. Ogni fotografia è il risultato delle nostre mediocrità prezzolate, e le menzogne stampate su carta patinata incantano solo gli stupidi o i mercanti di sogni. Nell'epoca della falsificazione digitale e del conformismo sociale, la sovrapposizione delle cooscenze serve a nascondersi meglio. La stupidità cresce insieme al consenso, e quanto più gli individui si riconoscono nei valori dominanti, tanto più aumenta il numero degli scemi "istituzionali", il cui inutile destino è catturato dagli schermi-schemi dell'ordinario e del convenzionale. Perchè - sia ben chiaro - quando il potere non usa le armi affida alla cultura, all'ideologia o alla fede il compito di mantenere l'ordine costituito.

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