venerdì 7 novembre 2008

Quelle cinture sono una sicurezza

Le cinture di sicurezza sono un mezzo utilizzato per diminuire la gravità delle conseguenze fisiche subite dai viaggiatori vittime di incidenti stradali.
Tuttavia, in molti casi esse si sono dimostrate controproducenti, impedendo ad esempio ai malcapitati di uscire o di essere estratti rapidamente dall'auto in caso di incidente grave, causandone così la morte.
La scelta di soggiacere a un rischio piuttosto che a un altro è dunque pertinenza esclusiva e insindacabile di ogni individuo. Il concetto di "scelta" è un principio cardine delle democrazie, perchè dove non si può scegliere non si è liberi.
Ora, una legge che impone un comportamento limitativo della scelta, ossia della libertà, è senza dubbio una legge sbagliata; ve se sono tante di leggi sbagliate, d'altro canto sono fatte dagli uomini, e questi solitamente sbagliano molto più delle donne, ma le leggi sbagliate vanno modificate oppure abrogate, proprio come quella sull'obbligo di indossare le cinture in automobile, o sull'obbligo di indossare il casco in moto, che attingono ufficialmente la loro ratio da principi generali di sicurezza, mentre in realtà prendono forma e sostanza dalle radici più deteriori dell'ipocrisia. Vediamo il perchè.
La prima ragione addotta è che il provvedimento è preso per il bene dei cittadini. Questa affermazione è ipocrita perchè nessun uomo ha il diritto di imporre ad altri un qualsiasi comportamento con la scusa di farlo per il suo bene. Se così fosse, l'alcol non dovrebbe essere liberamente venduto nei bar, perchè tutti sanno ed è scientificamente provato che l'alcol danneggia la salute.
Ma chi non indossa le cinture di sicurezza e viene multato, e rifiuta di pagare l'illegittima ammenda, subisce il blocco amministrativo dei suoi beni. Se oppone resistenza a pubblico ufficiale per evitare eventuali pignoramenti mobiliari o immobiliari, viene condannato alla reclusione da 6 mesi a 5 anni, secondo l' art. 337 CP. Se infine oppone resistenza all'illegittimo arresto, viene aggredito con le armi e può essere ferito od ucciso. Tutto per il suo bene.
Far male a una persona adulta e responsabile contro la sua volontà, asserendo di farlo per il suo bene, è senza alcun dubbio un'aberrazione giuridica.
La seconda ragione addotta dai sostenitori della legge è quella che con l'adozione di tale provvedimento diminuirebbe il numero di feriti, e con loro le connesse spese mediche e successive spese di invalidità. Da ciò deriverebbe un utile per lo Stato e teoricamente (ma solo teoricamente) tasse inferiori per i cittadini. Noi sappiamo fin troppo bene che non è così. A memoria d'uomo non vi sono esempi di spese in diminuzione, ma sempre in aumento. Soprattutto, il fatto che vengano messe a confronto giustizia e utilità, ossia stato con mercato, è indice di un distacco dai reali bisogni dei cittadini, poichè dovrebbe sempre venir prima l'uomo con le sue libertà, e dopo le esigenze legate all'efficienza, che è un concetto tipico della produzione. Il motivo cade interamente se poi si ammette che chi vuole essere libero di indossare o meno le cinture può, di conseguenza, rinunciare ai servizi correlati (spese mediche e invalidità), naturalmente ricevendo il rimborso delle somme versate direttamente con contributi o indirettamente con le tasse.
La terza ragione addotta è che le compagnie di assicurazione pagano statisticamente danni maggiori per il mancato uso delle cinture, quindi renderle obbligatorie riduce le loro spese e, sempre teoricamente, i premi pagati dagli automobilisti. Anche in questo caso sappiamo bene che non è così. Al di là della mera quanto triste considerazione che i premi delle polizze R.C. auto aumentano, contra legem, anche quanto l'assicurato non commette sinistri, figurarsi se i premi diminuiscono con l'uso massivo delle cinture di sicurezza. C'e poi, ancora una volta, il confronto tra giustizia e tornaconto, per cui anche questo motivo cade.
Cade ancor più fragorosamente se si pensa che l'assicurazione deve rispondere dei danni causati dall'assicurato indipendentemente dalle misure prese dal danneggiato per ridurre tali danni; altrimenti seguendo la stessa logica le assicurazioni dovrebbero chiedere a pedoni e ciclisti di circolare protetti da armature d'acciaio, caschi, luci di segnalazione senza alcun limite.

In conclusione, non indossare le cinture di sicurezza non cagiona danni illeciti a terzi.

Ma vi è anche un'altra ragione, non più taciuta ormai, per la quale tali assurde leggi restano ancora in vigore: con il denaro proveniente da multe e contravvenzioni lo Stato e gli enti locali incassano enormi somme. Suscita una malcelata tristezza constatare che Carabinieri e Polizia sono stati degradati, da difensori del cittadino, a semplici grassatori statali, appostati sulle strade per depredare i viaggiatori, dotati anche di apparecchiature sofisticate allo scopo non già di prevenire bensì unicamente di sanzionare e incassare denaro. Sono centinaia di migliaia di automobilisti che ogni anno vengono "derubati" dallo Stato per non aver obbedito al diktat delle cinture di sicurezza, o per aver oltrepassato il limite di velocità di cinque, dieci chilometri orari, tanto che gli stessi cittadini sono costretti a difendersi da una simile aggressione con apposite associazioni di tutela dei diritti del cittadino, oppure organizzandosi tra loro segnalando con i lampeggianti di auto emoto la presenza di grassatori statali nelle vicinanze. Questo la dice lunga, molto lunga sugli italiani e il loro senso dello stato: come dargli torto?

Questo post prende spunto dalla vicenda di Marcello Gardani di cui propongo anche il link "Se Arnoldo lo sapesse" oltre a questa lettera da lui stesso inviata al Prefetto di Mantova:

«Oggetto: Ricorso contro i verbali numero P0093460 e P0093461, elevati nei miei confronti dal carabiniere XY della stazione di Sabbioneta il 25/10/1992. Riferimento alla sua lettera del 5/2/94.

Leggo sulla sua lettera, firmata da T. Ganxxx ed A. Fexxx, che ella ha ritenuto irrilevanti i pur particolareggiati motivi di opposizione da me esposti contro il verbale in oggetto. Si figuri se io non ritengo irrilevante la sua miserabile missiva, che è addirittura priva di motivazioni. Un tale arrogante atteggiamento non mi stupisce minimamente, in quanto la repubblica italiana si dimostra ogni giorno di più un'associazione per delinquere di matrice socialista, i cui scopi primari sono la violenza e l'estorsione nei confronti dei suoi sudditi.
Ovviamente non ho nessuna intenzione di piegarmi ai suoi ridicoli ordini ed ingiunzioni. L'avverto che chiunque tenterà, in seguito alla sua ordinanza, di derubarmi dell'importo da lei illegittimamente richiesto sarà da me considerato, trattato e giustiziato come ladro e rapinatore. Contro la criminalità legale di chi, come lei ed i suoi complici, non indietreggia di fronte al furto, alla violenza ed all'omicidio, pur di costringere altri ad azioni arbitrarie, come, nella fattispecie, indossare le cinture di sicurezza, è giusto che non vi sia né rispetto né pietà.
Molti, sciocchi o superficiali, potrebbero acriticamente considerare esagerata una tale reazione da uomo libero alla violenza criminale organizzata, costituita dalla repubblica italiana e dalle sue leggi, così come è stata acriticamente considerata esagerata l' azione dell'uomo che, in Germania, in questi giorni, ha provocato una strage in tribunale (però, posto che avesse ragione, quell'uomo era un Eroe), ma ritengo che sia più onorevole morire combattendo questa rivoltante repubblica piuttosto che sopravvivere come suoi schiavi.
In fede.
Marcello Gardani

P.S.: Per il timore che, a causa del mio recente trasloco all' indirizzo sopra riportato, i suoi complici possano non trovarmi in casa, aggiungo anche il mio nuovo numero di telefono, così che mi possiate avvertire della vostra attesissima venuta, a cui non mancherei per nessuna ragione al mondo. Anzi, una sua visita di persona sarebbe molto gradita. La reputo improbabile, perché nascondersi dietro gli altri è assai più comodo e perché l'arroganza dei dittatorelli è spesso inversamente proporzionale al loro coraggio.
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