domenica 24 maggio 2015

Youth


Entrato di diritto nel frullatore holliwoodiano, testimoniato dal recente oscar e dal conseguente cast stellare che partecipa a "Youth - La Giovinezza", Paolo Sorrentino ha probabilmente "deciso" che ormai può permettersi di dire tutto nel modo che più gli aggrada, fregandosene altamente di trame o canovacci di sorta. Ma soprattutto distillando pillole di saggezza totalmente scollegate dal contesto, forse in preda a un delirio di onnipotenza col quale ormai è convinto di poter discettare sui massimi sistemi così come sui problemi cosmogonici dell'umanità facendo pronunciare frasi e aforismi inseriti in maniera poco congrua al primo che capita davanti all'obiettivo: un ragazzino, miss universo, l'attore in crisi, gli stessi protagonisti Keitel e Caine.
I due restano grandi attori che cercano in ogni modo di mantenere un filo man mano sempre più sottile, ma anche il ruolo delle musiche scelte non fa da contorno e recita - o almeno tenta - un ruolo a tratti debordante che a me ha dato persino fastidio in alcuni passaggi.
Non è solo per questo che il film non mi è piaciuto, ma anche per il "messaggio" che intende far passare, almeno nella chiave di lettura che io gli ho dato.
Se Caine rappresenta il direttore d'orchestra in pensione che rifugge qualunque progettualità, abbandonando ogni desiderio in favore dell'apatia assoluta, figlia naturale di un disincanto quasi cinico, dall'altra Keitel è il regista sul viale del tramonto che insegue i suoi sogni, ancora preda di una sottile vanità che - inutile negarlo - alberga in ciascuno di noi nella convinzione che si abbia sempre qualcosa da dire, mancando cioè l'acume strategico di tacere quando è indispensabile. Un po' come il grande campione che riufiutando il declino sbaglia l'attimo di uscita dall'agone, rimanendo travolto dal suo alter ego ormai ridicolizzato.
Ebbene, se Keitel rappresenta il desiderio viziato dalla vanità e Caine il cinico disilluso che ha sacrificato amori e famiglia in nome di quella stessa vanagloria, il primo muore suicida mentre il secondo dirige davanti alla regina d'inghilterra.
Cos'altro può trasmettere dunque questo film, se non il messaggio per me assolutamente negativo di affrontare la vita in maniera egocentrica, cinica e disillusa a fronte di una romantica visione sognatrice, che ancora desidera e vuole progettare?
La disillusione vince sul desiderio. E' questa la mia personalissima interpretazione di sintesi.
Ho visto tutti i film di Paolo Sorrentino, e credo che il flow irripetibile che mixa in maniera quasi divina fotografia, musica, trama, luce sui personaggi e un pizzico di surrealtà necessaria in ogni passione visionaria, il regista napoletano l'abbia raggiunto con "This must be the place", ad oggi un film assolutamente irripetibile.