domenica 3 giugno 2012

Religione digitale

Facebook ha evangelizzato 800 milioni di persone in pochi anni, le ha fatte avvicinare e le ha fatto dire "mi piace". Ma soprattutto ha fatto in modo che 800 milioni di persone spendessero una certa quantità del loro tempo trascorrendolo nella nuova chiesa a pregare in favore della nuova religione digitale. E' stata calcolata una media di 16 ore al mese.
Il famosissimo social network non è centrato su un mero confessionale di vecchio stampo cattolico, ma su di una filosofia totalmente nuova, quella della "sincerità radicale": niente privacy, tutto è visibile.
Mark Zuckerberg si propone come il fondatore ateo di una nuova religione, versione 2.0, che spinge centinaia di milioni di persone a confessare pubblicamente qualunque cosa facciano o hanno fatto, rivolta ad una pletora di confessori che a partire dai tuoi contatti si ramificano rizomaticamente con i contatti degli amici e degli amici degli amici.
Viene così dichiarata una vera e propria "sconfessione" alla sfera privata, oramai oggetto del passato, un valore che non interessa più nessuno, ove cadono le pareti di casa e i muri degli uffici diventano trasparenti e tutti raccontano tutto di tutti.
La stessa cultura europea, centrata sulle virtù dell'individualismo e della proprietà privata, è sopraffatta dalla caduta di qualunque segreto, pietra angolare su cui sono sorti e si sono fortificati sia gli stati assoluti che le religioni ver 1.0.Sarà anche questa la ragione per cui euro e dollaro presto spariranno?
Un cambiamento epocale, dunque, che la recente quotazione in borsa di facebook, secondo molti sovrastimata nel prezzo base al punto che le agenzie di collocamento azionario hanno chiesto "scusa", non ha minimamente intaccato, al contrario.
E varie correnti di pensiero si confrontano sul fenomeno.
Ad esempio, molti si chiedono: se una società la cui registrazione "è gratis e lo sarà sempre", con livelli di raccolta pubblicitaria praticamente inconsistenti viene quotata in borsa, quali sono i suoi "asset", i suoi fondamentali e da dove ricava gli utili che la renderebbero appetibile ad un potenziale azionista?
I maligni affermano che il "core business" è nella raccolta di informazioni di base e aggregate, abitudini e consumi degli utenti, che fanno gola a migliaia di aziende ed a queste lautamente rivendibili. Altri dicono che ci dobbiamo confrontare con nuovi modelli di business, in cui valore di scambio e valore d'uso non sono più distinguibili tra loro.
I sociologi poi si affannano a dimostrare che i "legami deboli" intrecciati da facebook rafforzano l'autostima complessiva del soggetto coinvolto fornendogli una sorta di canalizzazione virtuale verso cui convogliare la costipazione psichica. Come dargli torto, resto sempre basito di fronte al "come siete belli!" scritto a commento di foto oggettivamente orribili; oppure allibito di fronte  a chi augura regolarmente "buon giorno e buonanotte" ad un algoritmo. Meno male che facebook c'è, mi viene da pensare.
Altri ancora, infine - nei quali io personalmente mi ci ritrovo in pieno - descrivono facebook come il "non luogo" per antonomasia in cui si affastellano frammenti multimediali, link e brandelli di testo che favoriscono caos, disorientamento e impoverimento del senso.
Toccherà ai posteri, come al solito, il compito di emettere l'ardua sentenza.