mercoledì 30 marzo 2011

Kosher vuol dire qualità? No ...


Grandi aziende alimentari italiane (Algida, Mutti, L’Angelica, Barilla, Buitoni, Agnesi, Loacker, San Benedetto, Zuegg, Dietorelle, Ferrero, Unilever, Mulino Bianco, Pavesi, Nestlé, Rigoni d’Asiago, Perugina, Amaretti di Saronno, Rio Mare, Ferrarelle, Colussi, Scotti, Cirio, De Rica, Bertolli, De Cecco, Carapelli, Olio Sasso, Monini, Lazzaroni, Amica Chips, Heinz, Lavazza, Kimbo, Segafredo, Esselunga, Kellog’s, Santa Rosa), nel silenzio più assoluto hanno comprato la certificazione ebraica “Kosher”, dichiarando in tal modo che i loro prodotti alimentari sono così puri da poter essere mangiati anche dagli ebrei.
Ma cosa significa esattamente Kosher?
Kosher in ebraico significa “atto”, “adatto”, ed è un termine impiegato per definire cibi preparati in conformità con le regole alimentari ebraiche.
In pratica cibo adatto agli ebrei.
Le leggi dell’alimentazione ebraica (Kashrùt) affondano le radici nella Bibbia e vengono osservate da più di tremila anni, perché secondo i rabbini del Talmud mangiando cibo non Kosher (non adatto) si riducono le facoltà spirituali perché tutto ciò che mangiamo diventa parte integrante del nostro sangue, e quindi la comunicazione con la propria anima può essere (chi più, chi meno) disturbata.
Religioni e dogmi a parte, intossicando il corpo con alimenti sbagliati, cibi putrefattivi e putrescenti, metalli pesanti, ne risente la qualità stessa del sangue (che non a caso è un derivato delle digestioni) e di conseguenza anche il pensiero, il mondo animico e quello spirituale.

Sarebbe molto interessante conoscere quanto costa a noi ignari consumatori la “certificazione ebraica”, poiché è fuori discussione che questo “valore aggiunto”, mascherato da speciale certificazione, ha una ripercussione economica sul prodotto finale, per non parlare dei macchinari e delle consulenze rabbiniche.
Se qualcuno sta pensando che il cibo Kosher interessi poche e ristrette realtà, si sbaglia di grosso: tale certificazione è ormai riconosciuta e popolare nei 5 continenti con circa 7000 aziende che la vantano e che offrono ad ebrei e non ebrei oltre 40.000 prodotti alimentari.
Il fenomeno è così in ascesa che solamente negli Stati Uniti ormai la metà del cibo venduto nei supermercati è marchiato Kosher, un mercato di oltre 150 miliardi di dollari ogni anno.
Uno studio della Cornell University attesta che il 40% di tutti i cibi in circolazione sono Kosher e questo potrebbe spiegare la scelta della maggiori catene di distribuzione alimentare (Wal-Mart, Costco, ecc.) di offrire questi prodotti.
Anche in Italia la tendenza è la medesima: 200 sono le aziende autorizzate Kosher nel nostro paese, ma solo 20 usano il marchio.
Come mai questa reticenza a farsi pubblicità? Per interessi economici, allargando il bacino di vendita alle comunità ebraiche e musulmane? Per compiacere ad una minoranza religiosa, non numerosa ma certamente importante ed influente dal punto di vista economico-finanziario? Domande prive di risposta. L’unica cosa oggettiva è che i supermercati sono pieni di prodotti certificati Kosher, che costano di più e che nessuno ha chiesto.

Kosher significa salute e benessere?
Forse le industrie alimentari stanno puntando nei salutisti, nei vegetariani e in tutte quelle persone sensibili all’aspetto nutrizionale?
Indubbiamente il numero delle persone che stanno prendendo coscienza dell’importanza dell’aspetto nutrizionale è in costante crescita, anche perché il termine vegetariano non deriva da vegetale come qualcuno potrebbe pensare, ma da “vegetus” che significa “in salute”, “sano”, "vivo”. Ma il vero problema, che pochi mettono in risalto, è che il cibo Kosher non è sinonimo di salubrità, anzi.
Se così fosse la popolazione israeliana dovrebbe essere la più sana e longeva del mondo, ed evidentemente non è così, anzi è esattamente il contrario, poichè è una delle popolazioni più malate del mondo, tanto che a livello medico si parla del c.d. “paradosso israeliano”: le prescrizioni religiose vietano di consumare carne assieme a prodotti caseari nello stesso pasto, quindi vengono usate le margarine, ma il risultato è che gli israeliti hanno il tasso di colesterolemia fra i più bassi associato però ad un’incidenza di infarto e obesità fra i più alti in assoluto.
Inoltre le aziende italiane sopra elencate, sono le classiche industrie globalizzanti che producono alimenti industriali raffinati, prodotti totalmente privi di vitamine, minerali, enzimi e fibre, ricchi di grassi saturi, grassi idrogenati e zuccheri, quindi prodotti morti e mortiferi per l’organismo umano.
Questi pseudo-cibi potrebbero avere una qualsivoglia certificazione mirabolante o salutistica, ma la loro pestilenza organica rimarrebbe la medesima.
Un cibo per essere tale, cioè per alimentare correttamente le cellule, deve essere vivo, fresco, vitale e carico di princìpi nutrizionali fondamentali (enzimi, vitamine, minerali, ormoni e fibre).
Dal punto di vista del metabolismo umano, un animale sgozzato velocemente non è certamente più sano di un animale macellato; un pesce con le pinne ucciso non è certo più sano di un pesce senza le pinne; un volatile come il pollo non è più sano di uno struzzo; il latte di mucca Kosher intossica come quello di mucca allevata industrialmente.
Fare distinzioni di questo genere, denota ignoranza e anche una buona dose di furberia. Siccome gli ebrei amano molto il pesce, i saggi rabbini hanno pensato bene di stabilire che il pesce non è carne; siccome le Sacre scritture impedivano di consumare sangue, cioè di mangiare animali, i rabbini hanno ideato il dissanguamento lento.
Proprio quello che accade qui in Occidente e non per dogmi religiosi, dove moltissimi cosiddetti vegetariani mangiano pesce, uova e latte, come se non fossero di provenienza animale e come se non provocassero sofferenza animale.
Tutte le proteine di derivazione animale (carne, pesce, uova, latte e formaggi) dopo la digestione rilasciano ceneri che acidificano il terreno biologico interno, creando putrefazioni e tossine a livello intestinale, che predispongono l’organismo a qualsiasi malattia.
Questo dal punto di vista salutistico, perché da quello morale ed etico, l’uccisione di un animale per soddisfare il palato è un crimine contro Natura, un crimine contro noi stessi.
Quindi la certificazione Kosher, lungi dall’essere un indice di benessere per uomini e animali, è un marchio commerciale - seppur intriso di misticismo - che sperpera inutilmente denari (diverse centinaia miliardi di dollari all’anno), fa ingrassare i soliti noti e certifica con il sigillo di Salomone, sofferenza animale e malattia umana.
Sono cinquecento i rabbini certificatori nel mondo intero con sede centrale a New York: questi hanno il controllo totale del cibo Kosher e quindi gestiscono la pancia e la salute di centinaia di milioni di persone, ebrei e non.

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