domenica 20 dicembre 2009

ALBA

La notizia è passata praticamente sotto silenzio, nel nostro Paese, considerando come fondamentale, al suo posto, diramare i comunicati clinici di Berlusconi ogni ora, quasi fosse un Wojtyla qualunque ricoverato in agonia, oltre ai commenti confusi di maggioranza e opposizione. Eppure, ci sarebbe dovuta essere maggiore attenzione all'altra cosa, da parte di media che si reputino destinati a informare i propri lettori su fatti rilevanti e se vogliamo determinanti.
Ebbene la notizia è che l'ALBA ha deciso di abbandonare completamente il Dollaro.
Venezuela, Cuba, Bolivia, Nicaragua, Ecuador e Honduras si sono riuniti a Cuba e hanno confermato che completeranno l'uscita dall'area del Dollaro.
L'"Alternativa Bolivariana para los Pueblos de Nuestra America" (ALBA) che racchiude i paesi appena citati, ha insomma deciso di lasciare alla deriva una moneta ormai priva di valore e di senso, per far entrare in vigore, all'interno della sua associazione, una nuova moneta chiamata SUCRE (Sistema Unico di Compensazione dei pagamenti Reciproci).
La cosa è rilevante per due ordini di motivi, uno dei quali almeno, il primo, è rilevante anche per chi - a nostra differenza - non ha particolarmente a cuore lo studio e l'analisi di alternative monetarie del mondo. Se quest'ultimo è infatti oggetto di riflessione e importanza soprattutto per chi ha ben messo a fuoco la sistematica natura predatrice delle Banche Centrali (molti, ancora oggi, non si rendono conto della cosa) ebbene l'altro aspetto, il principale, ovvero l'abbandono del Dollaro, sarebbe dovuto essere fondamentale da far sapere da parte dei media. Che invece hanno taciuto, o quasi.
Il motivo è presto detto: questa decisione dell'ALBA conferma ancora una volta lo schianto - definitivo - verso il quale si sta dirigendo l'economia americana e quella mondiale a essa collegata.
I motivi, almeno chi ci legge, li conosce: stampa indiscriminata di banconote senza copertura reale da parte della Fed, debito pubblico alle stelle e nessuna possibilità di ripresa per una economia matematicamente già fallita decenni addietro, sono gli elementi che fanno emergere (o dovrebbero) la realtà per quella che è, ossia che l'era del Dollaro è alla fine.
E se i biglietti verdi conservano ancora temporaneamente una certa valuta e una certa credibilità ciò avviene per due motivi ben precisi. Il primo: non ci si rende conto della follia della Fed di stampare banconote prive di valore e immetterle sul mercato. La seconda: cadendo il Dollaro, cadrebbero molte delle economie a esso collegate.
Non è un caso che, senza dare troppo nell'occhio, molte economie mondiali (Cina in primis) stiano ricorrendo all'oro cercando di dismettere per quanto possibile tutte le riserve e i titoli in Dollari presenti nei propri forzieri.
L'ALBA lo fa strillando, come è sua consuetudine. In altri tempi, una dichiarazione del genere avrebbe fatto scatenare una reazione militare negli Stati Uniti.
Vedremo. Ciò che conta, è verificare ulteriori punti che confermano l'analisi fatta. Quanto potrà ancora durare il Dollaro e le economie a esso collegate?
Valerio Lo Monaco
Fonte: www.ilribelle.com>

Ancora sul signoraggio: Adam Kadmon

lunedì 14 dicembre 2009

Alla deriva

La natura violenta e autoritaria del potere politico ai danni della democrazia è ormai evidente. Infatti nessuno parla dell'unica riforma davvero necessaria, la RIFORMA ELETTORALE, che oggi consente a cinque persone di decidere chi entra in parlamento e quale deve essere il governo, nomina portaborse e crea il sistema di sottogoverno, scrive decreti e li applica a colpi di maggioranza esautorando lo stesso potere legislativo.
Dunque il potere legislativo e quello esecutivo sono già, di fatto, un unico potere, al quale può unirsi o quantomeno affiancarsi il c.d. "quarto potere".
Dei tre poteri + uno (legislativo, esecutivo, giudiziario + mass media) e della loro divisione per il conseguente equilibrio, resta assai poco.
Chi sta tentando di arginare questa deriva autoritaria è il potere giudiziario, o meglio, una frangia che usa le armi a propria disposizione per tentare di delegittimare l'azione politica, creare opinione pubblica e quindi consenso (negativo), aprire gli occhi alla gente.
E' dunque vero ciò che dice Berlusconi riguardo la magistratura: esiste un manipolo di giudici politicizzati, ma questi - a mio avviso - tentano solo di arginare l'autoritarismo dilagante e lo strapotere politico che promana da un vertice e poi a cascata coinvolge tutti gli attori.
Ad esempio: se Berlusconi o D'Alema decidono alle prossime elezioni di mettere in cima alla lista dei candidati uomini collusi con mafia e camorra, questi verrebbero senz'altro eletti perchè il sistema elettorale a liste bloccate lo consente; mafia e camorra hanno in tal modo un "loro uomo" all'interno delle istituzioni che, soprattutto nelle commissioni parlamentari, vota e decide questioni esiziali per la vita democratica del paese.
Parlo di commissioni parlamentari perchè solitamente è quello il luogo deputato alla maggior parte di provvedimenti e decisioni importanti, un luogo composto da non più di dieci persone che, come ai tempi del feudalesimo, decide sull'arresto di un parlamentare, sul finanziamento a una lobby, e sulla vita e sulla morte civile degli italiani.
In mezzo ci siamo appunto noi italiani, che in questa finta democrazia non siamo neanche messi in condizione di scegliere i rappresentanti con il nostro voto, unico momento decisionale lasciato al cittadino e quintessenza della democrazia.
Ditemi voi se non è una farsa.
Certo, non andare a votare non scioglie il nodo perchè il sistema è a maggioranza relativa, per cui anche solo il 20, il 10 o addirittura il 5% degli elettori che vota è in grado di rendere legittime le elezioni, a scapito dell'80, 90 o 95 per cento che non andrebbe a votare.
Dunque, che fare?
L'utilizzo delle procedure democratiche ortodosse, come quella di creare opinione pubblica e quindi consenso e quindi un movimento capace di modificare lo status quo non è percorribile, e nemmeno dare la preferenza a tribuni in combutta con lobbies economiche "finto-mondiste".
Le possibilità sono due: la prima è A)auspicare una riforma elettorale che elimini il blocco delle liste; B)elimini il rimborso elettorale a qualunque formazione raggiunga lo 0,8%; C) introduca il sistema a maggioranza assoluta.
A)L'eliminazione del blocco delle liste garantirebbe una parvenza di scelta da parte dell'elettore, anche se la compilazione delle medesime verrebbe ugualmente fatta dai partiti.
B)L'eliminazione del rimborso elettorale ai partiti, oggi esteso fino a quelli che raggiungono lo 0,8%, eviterebbe la corsa finalizzata al mero rimborso in onore al principio decubertiano che "l'importante è partecipare". Il finanziamento pubblico ai partiti è stato abolito con referendum popolare nel 1993 ma è stato fatto rientrare - indovinate da chi? - proprio sotto la voce "rimborso elettorale" per un ammontare che, udite udite, raggiunge i 5 (cinque) euro per ogni avente diritto al voto. Quindi 5 euro non già moltiplicati per chi effettivamente è andato a votare, ma per tutti gli aventi diritto! La solita "anomalia" italiana.
C)il sistema a maggiorana assoluta - in vece di quello attualmente in vigore a maggioranza relativa - introduce di fatto il quorum; è vero che le elezioni in Italia raggiungono quasi sempre percentuali "bulgare" (anche se da anni la tendenza è al ribasso), ma darebbe una possibilità in più all'elettore in quanto se vota vale uno, ma varrebbe uno anche se non andasse a votare, mentre oggi vale zero. Provate a immaginare quel popolo italiano, lo stesso che ha mandato in parlamento Ilona Staller ad esempio, che ha la forza nel voto/non-voto di decidere REALMENTE sulla sorte dei candidati: sono convinto che sarebbe un'ecatombe.
Ma è anche evidente, oltre che realistico, che i politici non riformeranno mai la politica affinchè essa diventi - finalmente - strumento di amministrazione civile. Dunque resta solo l'altra possibilità.
L'altra possibilità a nostra disposizione è la disobbedienza civile, attuata in maniera non violenta ma ferma, l'unica in grado di inceppare ulteriormente la già farraginosa e corrotta macchina politico-statale.

mercoledì 25 novembre 2009

Discorso sul debito

29 luglio 1987
Thomas Sankara, Discorso sul debito all’Organizzazione per l’Unità Africana.
Ex-presidente del Burkina Faso, paese tra i più poveri dell'Africa ed ex-colonia francese, in soli 4 anni di governo riuscì a risollevare il suo paese oppresso dalla fame e dalla povertà sfruttando le esigue risorse che questo poteva offrire.
In questo video il suo famoso "discorso sul debito" in cui esprime una forte opposizione al pagamento del debito che tutt'oggi opprime la libertà e lo sviluppo dei paesi africani.
Questo discorso gli costerà l'inimicizia di Francia e America.
Sankara, sposato e padre di due bambini, venne ucciso all'età di 38 anni il 15 ottobre 1987 insieme a dodici ufficiali, in un colpo di stato organizzato da un suo ex compagno d'armi (e poi suo braccio destro), l'attuale presidente del Burkina Faso Blaise Compaoré. Il complotto fu organizzato per consentire a Nazioni fortemente industrializzate di poter continuare ad attingere, a costo bassissimo, alle risorse naturali del Burkina Faso e poter essere così altamente competitive sul Mercato Internazionale.
Il suo paese sarebbe presto tornato alla povertà.

prima parte


seconda parte


breve biografia di Thomas Sankara

venerdì 2 ottobre 2009

martedì 29 settembre 2009

Qualcosa è cambiato: dai fax ai babà

Qui sotto, per gentile (e tacita) concessione di simonzio, potete constatare la scissione (uno scissionista?) latero-frontale del sindaco vincenzo de luca.



Ovviamente non si allude alle turbe ossessivo-compulsive dell'ottimo jack nicholson nell'omonimo film, bensì alle contraddizioni di un uomo che da 20 anni insulta città e cittadini con i suoi deliri di onnipotenza. D'altra parte non nutro né ho mai avuto empatia per questo sindaco, che mi vanto di non aver mai votato. La sua politica è un fallimento su tutti i fronti: Salerno non è una città turistica e non lo sarà mai; non è un polo industriale e non lo è mai stato; ha cementificato più di "zi'fonzo menna", e si vede ovunque giri la testa; le infrastrutture, il porto e l'aeroporto non si sono mai visti.
Prigioniera del traffico, la città è vessata dalle multe dei vigili e dai parcheggi ultra salati necessari a far quadrare i bilanci delle decine di società miste regolarmente a rosso ma i cui dirigenti - suoi personali amici - percepiscono stipendi d'oro.
La metropolitana è al palo da sempre: gli egiziani hanno impiegato meno tempo a costruire le piramidi, mentre il cupolone di San Pietro è stato fatto in due anni.
Pontifica urbi et orbi dalla sua cupola privata, una televisione locale, senza il benchè minimo straccio di contraddittorio; forse è per questo che i più stretti collaboratori lo hanno soprannominato "pol pot".
E' stato anche eletto deputato con gli ex DS, oggi PD, ma poi li ha prontamente rinnegati alle successive elezioni amministrative.
Si apprestava ad avallare il più grande babà dai tempi del post terremoto, la costruzione e la gestione degli inceneritori per l'emergenza rifiuti in campania, ma il cambio di colore alla provincia (cirielli-pdl) blocca i suoi "piani criminali" e ripiega sul "crescent", anch'essa una porcata piena zeppa di piani criminali, circa dieci, sempre ai danni della città.
Non male per un giovane che da Ruvo del Monte, in provincia di Potenza, saliva le scale della sede provinciale PCI, in via manzo, col compito di inviare fax.
"Per ogni fax inviato farò un babà": questo deve essersi detto mentre masticava l'amara gavetta il giovane de luca, il self made man de noialtri, che ha devastato salerno allo stesso modo in cui la bile gli massacrava lo stomaco.
Quando i salernitani si sveglieranno dal lungo sonno sarà troppo tardi, e la città meraviglisa di una volta persa per sempre.

giovedì 17 settembre 2009

Ipnocrazia 2

Al culmine dell'apparenza, degli effetti speciali e della perfetta serialità digitale, in cui non esiste più l'originale e la copia, verso la metà del 1990 prendono piede e successivamente si affermano i generi denominati "reality", "fiction" e "Tv verità", mentre al cinema prevalgono film horror, biografie, ricostruzioni, snuff movies.
E' la ricerca del reale a tutti i costi, in grado di procurare l'effetto stupefacente tipico dell'immagine: poichè niente più è davvero stupefacente, tutto è stato già visto, ecco che attraverso l'alta definizione e programmi "veri" il reale irrompe nell'immaginario collettivo, quell'immaginario un tempo evocato dal cinema americano con mostri, squali, day after, asteroidi, marziani, nebbie, fantasmi e gas di ogni genere, che ha raggiunto il climax con lo schianto reale di due aerei sulle torri gemelle.
I film e i programmi televisivi hanno sempre una natura onirica, e non solo nel modo simbolico in cui presentano la realtà, ma anche e soprattutto perchè gli esseri umani che vi assistono presentano lo stesso modello di onde di quando sognano.
La capacità di far sognare la gente, vivere la vita come in un sogno sono le ossessive ambientazioni psichiche entro cui spingono con forza la nostra realtà quotidiana. La pubblicità ci invita al sogno, la tv ci invita al sogno, la politica stessa ci invita al sogno. Sognare ad occhi aperti. Il cinema, come ripetutamente affermato da attori e registi, serve a "far sognare". Questa è l'ipnocrazia: la diffusione capillare e la pervasiva di un sistema di potere centrato sul rapporto occhi/monitor. Comunicando attraverso i monitor, la realtà diventa direttamente proporzionale alla grandezza dello schermo, dove più grande è lo schermo e più siamo calati all'interno del sogno, della realtà ipnotica e onirica.
L'ipnocrazia è lo stadio terminale della democrazia pervasa dalla società dello spettacolo e dalla pubblicità. I cittadini, un tempo drogati dalla religione, vengono oggi dopati dai maxi schermi e ridotti a ruolo di spettatori. Lo spettatore è un soggetto immerso in una fonte spettacolare dalla quale placa la spasmodica sete di stupore e di meraviglia. Come un drogato, assiste allo spettacolo per stupefare se stesso, in una fuga dalla realtà che gli impedisce la partecipazione attiva agli eventi che realmente accadono intorno a lui.
Spettacolo e pubblicità invadono ogni giorno la nostra vita quotidiana "calandoci" al di sotto del reale. L'effetto narcotico indotto alla nostra percezione aiuta ulteriormente il sistema spettacolare a diffondersi. L'intensa pioggia di nozioni-informazioni provenienti dalle fonti monodirezionali riduce la capacità di procedere ad un riesame critico, e l'assenza di spirito critico e il rumore assordante producono un effetto narcotico che spinge alla vulnerabilità cognitiva, anticamera dell'ipnosi. Si spiega in tal modo la crescente pervasività delle mode e dei luoghi comuni. Nella prima fase ipnotica si verifica un cambiamento dello stato di coscienza riscontrabile da un'accentuata presenza di rilassamento e di distacco dalla realtà esterna. L'alterazione delle proprie vibrazioni cerebrali comporta il distacco graduale dall'ambiente esterno, ma ciò non vuol dire che l'ipnosi equivale al sonno perchè una persona addormentata non è in comunicazione con il mondo esterno. L'ipnosi si caratterizza invece per una fissazione dell'attenzione tramite qualsiasi cosa attragga e mantenga l'attenzione del soggetto, effettuando il depotenziamento degli abituali schemi di riferimento o sistemi di credenze tramite distrazione, shock, sorpresa, dubbio, paradossi, confusione, destrutturazione, paura, terrore.
La società dello spettacolo, che rigenera se stessa grazie alla pubblicità, è strutturata proprio in questo modo: un'industria che partendo dalle due materie prime, estasi e terrore, produce stupore, meraviglia e incredulità. E' un'industria che vende sostanze stupefacenti.

mercoledì 9 settembre 2009

lunedì 10 agosto 2009

Inferno e paradiso

Inferno
C'è chi dice che è non amare più
chi invece che l'inferno sono gli altri
e chi ancora che siamo noi stessi
o che invece è la solitudine
e infine che è il vuoto
Ma l'amore è unilaterale, si può non amare ma essere amati
e se l'inferno sono gli altri basta chiudersi in se stessi
quando invece siamo noi basta immergersi negli altri
vuoto e solitudine aiutano a riflettere
Pertanto io credo che il vero inferno sia l'ingiustizia
tant'è che ogni religione parla di "giustizia divina"
segno eloquente che in cielo c'è ma sulla terra no
Dunque, l'inferno si trova sulla terra, e corrisponde all'ingiustizia.


Paradiso
Anche qui un solo tipo, quello fiscale, distribuito sulla terra in alcune località ben conosciute.
Il paradiso fiscale è un luogo in cui vengono costituite le cosiddette "società offshore", necessarie alla gestione di denaro proveniente da traffici illeciti, di droga, evasione fiscale, armi, e quant'altro. Insomma, bisogna essere partecipi dell'economia della truffa, della corruzione, del riciclaggio di denaro, dell'evasione fiscale, del contrabbando, del racket, dell'insider trading e di tutte le forme di distorsione del mercato. Se così non fosse, il paradiso sarebbe inutile.
Oltre la metà degli scambi commerciali dell'intero pianeta passano attraverso questo tipo di società; tuttavia non vengono mai studiate o addirittura ignorate nei testi di economia delle università di tutto il mondo.
Le società d'investimento offshore godono di un livello di tassazione molto basso o addirittura inesistente, non sono registrate e non vi è modo di conoscere l'identità delle persone che vi partecipano; tale segretezza viene giustificata dalla pervasività del dispotismo politico che, generando insicurezza, necessita di una barriera di protezione per l'individuo dall'avido e insaziabile potere statale.
I clienti più numerosi delle offshore sono le società multinazionali, che operano attraverso procedimenti detti di "transfer pricing" o di "rifatturazione", creando fondi neri da trasferire poi nel paradiso.
Per aprire una società offshore è necessario sempre affidarsi a consulenti super specializzati dal costo di 850 dollari l'ora, ragion per cui solo chi è davvero interessato e soprattutto dispone di cospicue somme di denaro può permettersi.
Il numero di paradisi è cresciuto in maniera esponenziale: da 25 nel 1970 si è arrivati a 72 alla fine del 2005.
L'Italia è ben circondata: questo è l'elenco in europa; anzi, ne ha uno all'interno del proprio territorio (san marino)
Naturalmente il FMI, le banche centrali e le banche in generale apprezzano questo genere di località.
Qualcosa però comincia a muoversi. I continui terremoti finanziari hanno avviato azioni politiche - molto caute - per tentare di tamponare le speculazioni derivanti da queste enormi quantità di denaro, e il fatto che gli stati tentino di agire facendo leva sui paradisi fiscali è la prova (qualora vene fosse ancora bisogno) che il cancro dell'economia occidentale è concentrato lì. Ad aprile 2009 è stata stilata una lista in tre colori, nera bianca e grigia, degli stati che aderiscono o meno a particolari accordi.
Di ieri invece la notizia che uno "storico accordo" tra Londra e il Liechtenstein e tra Stati Uniti e Svizzera.
Inutile dire che tutto cambierà per non cambiare nulla. Non solo infatti ben 35 di questi 72 paradisi fiscali è legato alla city di Londra, sia con rapporti costituzionali diretti che tramite appartenenza al commonwealth, quando poi viene ancora una volta eluso il problema principale dell'economia occidentale, di cui il paradiso fiscale è una conseguenza, ovvero il signoraggio bancario e la riserva frazionaria.

Dimostrato dunque che l'inferno esiste, si chiama ingiustizia, si trova sulla terra ed è localizzato in territori chiamati paradiso.

mercoledì 24 giugno 2009

Memoria e desiderio: un nuovo calendario?

Sono rimasto particolarmente colpito da un articolo apparso sui giornali qualche giorno fa. Il titolo era: "Lunedi 24 Gennaio dichiarato il giorno peggiore dell'anno". Il sottotitolo aggiungeva: "Psicologi inglesi hanno calcolato qual è il giorno più deprimente". Il calcolo è stato fatto dal Dott. Cliff Arnall, psicologo dell'Università di Cardiff (Galles), specializzato in "disturbi stagionali".
L'articolo dice che il Dott. Arnall ha creato una formula che prende in considerazione diverse emozioni per determinare il punto più basso raggiunto dalla gente. Il modello è:{W (D-d)}x TQ/M x NA
L'equazione si compone di sei fattori identificabili: W (weather) è il tempo meteorologico, D (debt) sono i debiti, d è il salario mensile, T (time) è il tempo trascorso da Natale, Q (quit) è il tempo trascorso dall'ultimo tentativo fallito di lasciare il lavoro, M (motivation) sono i bassi livelli di motivazione, e NA (need action) è il bisogno di fare qualcosa.
Quest'esempio di psicologia accademica dimostra perfettamente come il calendario è lo strumento di macroprogrammazione della cultura o società che lo usa. La ricerca non ha alcun significato se non seguite il calendario gregoriano - in cui, di conseguenza, vivete in una società in cui siete consumatori, programmati dal calendario ad avere l'esperienza culminante di spesa nell'ultimo mese del calendario annuale. A questo non-plus-ultra del consumo fa seguito il programma "anno nuovo" del calendario, in cui gli eccessi delle festività vengono redenti da qualche tipo di risoluzione - che, secondo la ricerca del Dott. Arnall - dura non più della prima settimana dell'anno nuovo. La formula ideata dal Dott. Arnall poggia sul lemma della filosofia che sottende il calendario gregoriano, "il tempo è denaro". D'altra parte, la stessa parola 'calendario' deriva dal termine latino 'calenda', che significa 'libro contabile'.
Questo è il tipo di ricerca chiamato "pensare dentro la scatola". E' condizionato da dogmi indiscussi, originati dalla mancanza di consapevolezza circa l'assoluta limitazione di tali investigazioni alla scatola sconosciuta in cui essi operano. La scatola, in questo caso, è il calendario gregoriano in quanto programma mentale che si ripete su base annuale. Togli lo strumento di programmazione gregoriano, e cosa resta? Il re è nudo.
Il Dott. Arnall ha condotto la sua ricerca in Gran Bretagna, e così le sue conclusioni sono valide per quella nazione o probabilmente per la maggior parte del mondo dei consumatori occidentali governati dal calendario gregoriano. Ma, per comprendere quanto siano relative queste conclusioni, e quanto arbitrari siano i condizionamenti comportamentali del calendario gregoriano, basta pensare di vivere in una società che non segue questo calendario.
Stando alle conclusioni del Dott. Arnall, il calendario gregoriano programma i vostri debiti, la vostra depressione ed il vostro fallimento spirituale. E non potete farci niente. Per quale motivo seguire un calendario che vi programma per la depressione, che vi rattrista con preoccupazioni su quando c'è da pagare le bollette - o se il vostro salario sarà sufficiente a pagare i vostri debiti? O, ancora peggio, perché continuare con un calendario che incorpora una sindrome del perdente cronico, simile a quella di un alcoolizzato che non riesce ad uscire dal vizio, che porta a rompere le vostre promesse per l'anno nuovo - secondo i calcoli del Dott. Arnall, una settimana dopo averle solennemente pronunciate? Siamo programmati per il fallimento spirituale!
A tutto questo aggiungete che l'anno prossimo il 24 Gennaio non cadrà di lunedi. Essendo lunedi il giorno iniziale della settimana lavorativa, è sempre più deprimente - ad esempio, del venerdi. E allora, forse il giorno più deprimente sarà il 23 Gennaio, che cade di lunedi? Il che ci porta ad un altro punto: l'irregolarità irrazionale e la mancanza di un ordine coerente nel calendario gregoriano. Non solo programma la vostra depressione, il timore dei debiti, il fallimento spirituale - vi programma anche ad un certo torpore, quando pensate al tempo. I giorni della settimana non sono mai in correlazione con quelli del mese - in questo modo, è difficile fare qualunque calcolo. Condiziona la vostra mente, se tutto ciò che potete dire sul calendario è "30 giorni ha Novembre…" E' così che dovrà essere sempre, senza speranze, nella civiltà dominante del pianeta Terra, o c'è un modo migliore?
Abbiamo bisogno di un nuovo calendario!
Naturalmente, un nuovo calendario significherebbe anche una nuova società, ed un nuovo modo di fare le cose. Precisamente per questa ragione, il mondo non ha un nuovo calendario - a dispetto degli appelli al buon senso e dei nobili tentativi dell'ultimo secolo e mezzo. Il problema è che dobbiamo sempre aspettare il Vaticano, il Presidente o il Parlamento o l'ONU per approvare il nuovo calendario. Con il complessificarsi della società, le probabilità che le cose vadano in questo modo sono scarsissime - il che ha reso di gran lunga peggiore la programmazione del vecchio calendario. Non possiamo aspettare ancora. Il vecchio tempo ci sta letteralmente ammazzando. Aspettare che la decisione venga dall'alto - è totalmente inutile, tempo perso direi. La cosa giusta da fare è cambiare il calendario noi stesi. E' così che sarà. Il modo di combattere l'inguaribile depressione incorporata nel vecchio calendario consiste nell'incominciare a vivere secondo uno standard che sia armonico e che ci renda inguaribilmente felici - perché è armonico.
Parlo in base alla mia esperienza. Non seguo più il vecchio calendario. Vivo seguendo un calendario diverso in cui non esiste il 24 Gennaio. Di fatto, Settembre, Novembre, Giugno o Luglio non esistono più, come pure Lunedi, Martedi, Mercoledi, ecc. Per me, tutti i millenni di preoccupazione e superstizione inglobati in questo sistema sono svaniti - e così non ho nulla di cui deprimermi. Ma ho qualcosa di nuovo da imparare, e nuovi valori da programmare nelle mie abitudini e nel mio carattere - valori come la pace, l'armonia, la cooperazione e la gioia. O forse sono solo preveggente, e sapevo che, se avessi cambiato calendario, il mio compleanno non sarebbe caduto in giorno sfigato.
Un calendario che è una disperata irregolarità non può essere programmato per la pace o l'armonia - produrrà solo irregolarità. E con un calendario in cui la depressione e l'irregolarità sono i programmi di routine, non potremo far altro che accrescere la disperazione che si prova di fronte ad un mondo che diviene sempre più complesso, in cui la depressione - secondo l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) - aumenta esponenzialmente da quando un numero sempre crescente di lavori consiste nello stare attaccati ad un computer.

martedì 23 giugno 2009

La morte dell'immagine



Un po' di autocelebrazione 1: anche il noto debunker Maurizio Blondet si è accorto dello Stato biscazziere, e gli dedica un pezzo.
Autocelebrazione 2: ho sempre desiderato essere sulla copertina della settimana enigmistica, la rivista che vanta innumerevoli tentativi d'imitazione. Sono orgoglioso quindi di apparire sull'unico giornale cartaceo degno di essere letto, che giganteggia in qualità dell'informazione e stimolo intellettuale in questa discarica a cielo aperto che è diventata la carta stampata italiana, e che non a caso annovera anche mio fratello tra i suoi prezzolati professionisti.
I padroni della comunicazione sono anche i becchini dell'utopia, il loro funzionalismo segue l'estetica del mercato e ogni cosa è considerata oggetto di consumo. Siamo nel tempo che preferisce l'immagine alla cosa, la copia all'originale, l'apparenza all'essere.
In quest'epoca di decadenza da basso impero romano, cui seguirà il già cominciato neo-feudalesimo, viviamo il capezzale anche della fotografia. Un sentore nauseabondo pervade gli italici costumi, costruiti sulle immagini di carni umane sfatte e rifatte. Ogni fotografia è il risultato delle nostre mediocrità prezzolate, e le menzogne stampate su carta patinata incantano solo gli stupidi o i mercanti di sogni. Nell'epoca della falsificazione digitale e del conformismo sociale, la sovrapposizione delle cooscenze serve a nascondersi meglio. La stupidità cresce insieme al consenso, e quanto più gli individui si riconoscono nei valori dominanti, tanto più aumenta il numero degli scemi "istituzionali", il cui inutile destino è catturato dagli schermi-schemi dell'ordinario e del convenzionale. Perchè - sia ben chiaro - quando il potere non usa le armi affida alla cultura, all'ideologia o alla fede il compito di mantenere l'ordine costituito.

mercoledì 3 giugno 2009

Lo Stato biscazziere

Ricerche Eurisco ed Eurispes hanno evidenziato che gli scommettitori in Italia sono oltre 30 milioni, tutti abitanti di uno stato cinico e distratto che per anni ha negato la legislazione per l'esercizio delle case da gioco inserite in un contesto di offerta turistica, per poi deregolamentare selvaggiamente il settore dell'azzardo, fino a portarlo a minorenni, casalinghe, pensionati, disoccupati.
Ogni angolo di strada è stata trasformata in una bisca legalizzata, e i numeri sono impressionanti: 300 mila macchinette, 120 mila punti vendita, 42 miliardi di euro giocati/spesa procapite 450 euro, gettiti per lo Stato di 12 milardi (2,5% delle entrate tributarie), 14 mila punti vendita sui 17 mila previsti dal bando di gara Bersani, 337 sale bingo, 280 mila slot (macchinette), 1500 sale giochi, 515 banchi lotto.

Dai primi anni del 2000 il gioco d'azzardo si è trasformato in un vero e proprio fenomeno di massa, tanto che gli studiosi sottilineano il diffondersi del c.d. "gioco compulsivo" oltre alle rilevanti ripercussioni socio-economiche che evidenziano ambigui paradigmi culturali.
L'azzardo sembra aver perso la sua tradizionale connotazione per assumere una più suadente pragmatica definizione di "gioco pubblico", quindi sicuro/lecito/responsabile; tuttavia questi elementi prendono in considerazione soltanto uno degli elementi che compongono il quadro (gioco e operatore) trascurando completamente il terzo, ossia il giocatore, che non sembra cogliere la pericolosità dei prodotti offerti in modo invasivo, comunicati come una innocente forma di intrattenimento se non addirittura surrettiziamente indicati come soluzione dei quotidiani problemi economici, e che genera un portato ludico-dipendente fonte di allarme sociale per la devianza esistenziale intrinseca.
L'equivoco nasce fin dal significato linguistico e interpretativo di gioco d'azzardo, che non distingue come nell'idioma inglese tra gaming, play e gambling, tre termini che corrispondono ad altrettante categorie ludiche; l'unica definizione oggi in nostro possesso è fornita dal codice penale, all'art 718 e segg.ti: "sono giochi d'azzardo quelli nei quali ricorre il fine di lucro e la vincita o la perdita è interamente o quasi interamente aleatoria".
Il nostro ordinamento è l'inico in Europa e nel mondo occidentale a non essere dotato di una legge organica sul gioco d'azzardo, perchè l'intera materia è regolata da una giungla di leggi speciali ad hoc.

Lo Stato italiano e il governo di sinistra hanno motivato la liberalizzazione con ragioni di contrasto all'evasione e al gioco illegale, sostenendo che l'aumento vertiginoso in percentuale dipende proprio da una sottrazione di quote all'erea illegale, ovvero di emersione e regolazione del gioco d'azzardo (riduzione e regolazione di riffe e lotterie clandestine). A questi dati Aams, gli analisti del settore oppongono altri elementi: crescita parallela del gioco clandestino, inefficacia degli strumenti di controllo, aumento delle ludopatie e di fenomeni degenerativi legati al gioco problematico.
I dati forniti dalla consulta nazionale antiusura rivelano però che l'illegalità si nasconde nella legalità, con rilevanti infiltrazioni della criminalità organizzata che finanzia in misura crescente il business del gioco pubblico. Con le sale scommesse si fa un eneorme salto qualitativo e quantitativo nel riciclaggio dei proventi illeciti, essendo le sale distribuite in maniera capillare sul territorio nazionale; e con il bando 2006 (Bersani) il numero di agenzie si è moltiplicato insieme al richio del riciclaggio. Alla gara per agenzie di scommesse non ippiche non ha partecipato nessuno dei colossi del settore (sisal, snai, lottomatica) ma soggetti medio piccoli, anche a gestione familiare, che sono arrivati a spendere 750 mila euro per un'agenzia a Palermo, dimostrando che con quei numeri è matematicamente impossibile rientrare dall'investimento ...

Le tre "sorelle" del gioco in italia: sisal, snai, lottomatica, mentre i giochi oggetto di concessione sono scommesse ippiche e sportive, bingo, lotterie istantanee, slot machine, lotto, superenalotto, totocalcio.

Il settore dei giochi e delle scommesse è collocato al quarto posto nella scala economica del paese, al secondo se si analizzano i dati disaggregati delle singole imprese.

L'italia è in testa alla classifica mondiale per spesa procapite per il gioco (fonte 2006) con circa 620 euro/anno.

venerdì 8 maggio 2009

Vincenzo De Luca, venditore di fumo

Giungono sul tavolo della Procura della Repubblica - finalmente - le denunce sul malaffare operato da quel venditore di fumo che porta il nome di Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno.
Si tratta di fatti già pubblicamente denunciati dl sottoscritto in questo mio post del dicembre 2006, cui aggiungo anche quelli riguardanti il figlio, la moglie (vedi anche qui), e il vergognoso caso delle intercettazioni che riguarda lui stesso (1 / 2 / 3, 4).
Inutile aggiungere che il "salernitano" non è un cittadino consapevole ma un misero schiavo che si accontenta delle storiche 3 F di re franceschiello: feste (di piazza), farina (contributi a pioggia finalizzati al consenso elettorale) e forca (privatizzazione dello spazio pubblico gestito da società miste imbottite di amici e parenti).
Si arriva a sentire che "questo sindaco per lo meno ha fatto qualcosa ...", oppure che "finalmente è una città vivibile ...". D'altro canto, cosa ti puoi aspettare da persone che lo hanno eletto sindaco per 20 anni di fila, come accade nei territori dell'Africa centrale ...
Ne riparliamo tra un paio d'anni, quando anche l'ultimo bluff verrà svelato e Salerno diventerà un parco di zombie bloccato dal traffico senza più alcun futuro.
Di seguito, la denuncia di Fausto Morrone alla Procura della Repubblica.
Buona lettura.

«Salerno, 06.05.2009
Al Procuratore Capo della Repubblica
presso il Tribunale di Salerno
Dott. Franco Roberti
Al Procuratore Generale presso la
Corte dei Conti di Napoli
Con il secondo rinvio a giudizio a carico della classe dirigente del Comune di Salerno possiamo spingerci a fare alcune osservazioni sulla sua capacità realizzatrice, che possano essere di aiuto, in futuro, per non danneggiare ulteriormente la comunità salernitana. Lungi da me entrare nel merito degli aspetti penali delle due vicende (Ideal Standard e MCM) - sulle quali ho già detto a tempo debito, e nelle sedi formali, quanto era a mia conoscenza - che oggi devono essere commentate solo dai Giudici e dai protagonisti.
Il primo elemento, che emerge in modo più che inequivoco - e che io ho sottolineato ripetutamente in passato con scarso successo di ascolto - è che il Sindaco di Salerno non è riuscito, in circa vent’anni in cui è stato decisivo per qualsiasi iniziativa intrapresa dall’Amministrazione Comunale, a realizzare alcuna opera o investimento di rilevante entità e capace di cambiare il destino di sviluppo del capoluogo.
Anzi, in particolare, in entrambi i casi a cui i rinvii a giudizio si riferiscono, al fallimento dell’iniziativa ha corrisposto la perdita del lavoro per centinaia di dipendenti e l’arricchimento speculativo di poche persone.
Ci rimane, come traccia del modo di operare del Primo Cittadino, la provocazione, rivolta ad un Assessore che gli esternava perplessità su alcuni indici di edificabilità, dal suo punto di vista assolutamente spropositati: gli standard valli a trovare sotto terra!
Per le altre opere (Cittadella giudiziaria – Cablaggio delle reti urbane – Stazione marittima – Palazzetto dello sport – Metropolitana – Lungoirno – Polo informatico) è inutile aggiungere altro ai resoconti delle cronache giornalistiche quotidiane (quelle non condizionate da editori vicini al Sindaco) e a ciò che si può facilmente vedere frequentando la città.
Segnalo, inoltre, che il Sindaco non ha brillato neppure per iniziativa e reattività allorquando ho fatto rilevare, senza essere mai smentito e sempre con riscontri successivi sul versante investigativo e giudiziario, la diffusa pervasività di imprese in odore di camorra, o sospettabili di contiguità ad essa (delle quali non ho mai mancato di comunicare in modo chiaro i nomi), nei confronti dei cantieri cittadini di opere pubbliche.
Il caso della costruenda Metropolitana ha toccato il grottesco, volendo usare un eufemismo: nonostante, dopo oltre dieci anni dalla cantierizzazione, non si sappia ancora quando sarà terminata, è già noto ai salernitani che, per un mero errore di progettazione, si andrà più velocemente da Salerno a Roma che dallo Stadio Arechi al Rione Olivieri (partirà un convoglio ogni 75’).
E’ da aggiungere che, per realizzare la Cittadella giudiziaria al centro della città e una Metropolitana con una frequenza da terzo mondo, sono state sacrificate aree strategiche delle Ferrovie dello Stato, precludendo, così, ogni possibilità di crescita dei volumi di traffico su ferro e dei servizi nello scalo.
Fatte queste considerazioni, è fin troppo semplice prefigurare scenari catastrofici per i cittadini salernitani a seguito delle ultime iniziative intraprese dal Comune di Salerno: la Piazza della Libertà e il Termovalorizzatore.
Per entrambe le opere il Comune ha deciso di anticipare con risorse finanziarie proprie, raccolte attraverso l’ulteriore indebitamento dell’Ente, l’acquisto delle aree interessate.
Pertanto, se, come temo, anche queste ultime opere subissero la medesima sorte di quelle segnalate in precedenza, verremmo a trovarci velocemente nella situazione di dissesto di bilancio del Comune; situazione, questa, che assesterebbe un colpo durissimo a una comunità già piegata da una congiuntura economica e sociale di particolare gravità.
Inoltre, mi sembra opportuno aggiungere, che, nel caso delle aree interessate dalla realizzazione di Piazza della Libertà, esse sono state acquistate dal Demanio, che ha potuto cederle esclusivamente poiché il Comune ha garantito il loro uso con finalità pubbliche.
Invece, tutti sappiamo che una parte di esse sarà rivenduta a privati per realizzare un “mostro” di cemento di circa 30 metri di altezza e con una estensione di circa 270 metri, il quale dovrà ospitare abitazioni, uffici e strutture commerciali.
A tal punto, è ovvio ipotizzare che un “mostro” del genere, che, a parere di numerosi esperti, si configurerebbe come uno scempio paesaggistico utile solo a fini speculativi, conseguirà un contenzioso giudiziario da parte di chi ne sarà direttamente danneggiato e da parte di chi, più semplicemente, intenderà difendere il patrimonio di bellezze del secondo capoluogo della Campania.
In proposito mi pare giusto sottolineare, sull’opera in questione, uno “strano” silenzio assenso della Soprintendenza Archeologica, senza che il richiesto parere di legge sia mai stato rilasciato.
Orbene, se tutto ciò capitasse, da qui a qualche tempo cadremmo inevitabilmente nella situazione di dissesto finanziario del Comune innanzi ventilata e, come per la Metropolitana, il blocco conseguente interesserebbe anche le aree che potrebbero avere ben altro sbocco strategico.
La ricaduta occupazionale negativa, peraltro, in questo caso, come per le altre vicende raccontate, è stata già registrata con la chiusura del Jolly Hotel.
Pertanto, ho voluto interessare le Autorità Giudiziarie in indirizzo, affinché possano verificare la legittimità di quanto in premessa descritto e, se ne ricorressero le condizioni, valutare la possibilità di un sequestro cautelativo delle aree, per prevenire che le “manie di grandezza” possano continuare ad arrecare danni ulteriori ai salernitani, peraltro già abbondantemente vessati da quanto “realizzato” fino ad oggi.
Distinti saluti.
Fausto Morrone
»

domenica 26 aprile 2009

Elogio dell'inutile

Ciò che è inutile non è superfluo, viaggiano su piani diversi, e non paralleli.
Mentre il primo infatti è un inutilizzato,un super-fluere, un traboccare, un'eccedenza che possiede una sua utilità intrinseca venuta meno successivamente, per esempio a causa di un surplus produttivo, o perchè inglobato in un sistema di oggetti-status farciti di simbologia cult-capitalista, l'inutile - a contrario - si oppone nettamente all'utile-utilità-utilitarismo e alla logica che li sottende, opponendosi al contempo alla radice/matrice del fare capitalista.
Ciò che è inutile, quindi, non è funzionale al capitale, e non essendo neanche superfluo, ossia potenziale oggetto di status symbol, non interessa al capitale nemmeno in chiave di riciclo.
Non vivendo lo stato di quiescenza latente del superfluo, potenzialmente attivo e funzionale, né quello di scarto, di pezzo uscito male o riciclabile, l'inutile si oppone alla matrice capitalista con forza uguale e contraria al capitalismo stesso.
L'inutile è anticapitalista.

martedì 7 aprile 2009

Frammenti

- futuro -
Se leggi il futuro vuol dire che è già scritto
e non lo puoi modificare
Ti ostini a leggerlo cercando di potere
ma così facendo fuggi via il presente
insieme all’attimo che costruisce il tuo domani
E sei perso nel nulla

- mio padre -
Mio padre è solo
al buio
da qualche parte
Fuori,
dentro di me
piove

- eros -
Frastornato
osservo
il letto infelice
di questo groviglio di sogni
infrantosi all’alba

- treno -
Obliterato il biglietto
l’acciaio delle porte
avrà inghiottito
ciò che resta di me
dopo il nostro ciao

- memory -
Spalancato sul mondo
vertigine e vita
non siamo che il ricordo
d’un altro ricordo

- tempo -
Sospeso
nell’aria densa
un senso di vuoto
Vorrei conoscere il viso
comprendere il senso
del giorno che avverto finire
Immobile
il tempo mi sfugge
e stringe il mio cuore
nei suoi incomprensibili cerchi

- due notti-
Mentre il tuo corpo
annuda e sbianca
l’osso crudele
della mia anima
trasfiguro nel sonno
risvegli migliori

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domenica 22 marzo 2009

Una vita al contrario

Nella smania di archiviare tutto si perde la memoria. E' ovvio, tanto l'ho archiviato! Questo il semplicistico e sclerotico ragionamento dettato dalla pervasiva realtà digitale.
Prendiamo le foto, ad esempio: ormai tutti scattano foto con qualunque cosa in ogni momento, e abbiamo archivi di giga, anzi terabyte che non guardiamo nemmeno. C'era più gusto a stampare le foto e ogni tanto sfogliare l'album. Oggi questo non accade più, e decine di centinaia di foto cadono nell'oblio, direi definitivo, per la nostra incapacità di ritrovarle e riguardarle con calma, troppo intenti a fotografare altro, ancora, sempre di più.
Con i documenti è lo stesso. Archiviamo quantità industriali di pagine ma al momento opportuno non le troviamo mai, soprattutto quando servono, e di solito quando servono andiamo molto, molto di fretta, ma quel cacchio di cd/dvd non vuol saperne di aprirsi.
Il problema dei supporti sui quali mettere un archivio è reale, perchè al momento nulla è più duraturo della carta, visto e considerato che leggiamo ancora libri stampati molti secoli fa. Le audiocassette sono sparite, idem per diapositive e nastri vhs. Qualcuno offre il servizio di conversione in digitale, 0,10 euro per le diapo, 5 euro/h per le musicassette, 8/h per quelle video; siamo nell'ordine dei 0,13 centesimi di euro al minuto, le vecchie 250 lire, il prezzo è destinato a scendere, ma probabilmente è il valore di mercato della nostra memoria.
Soprattutto: una volta convertito in digitale, quanto tempo durerà?
Personalmente consiglio di non buttare via i vecchi nastri e gli apparecchi in grado di leggerli. A breve vedremo sparire anche i dvd, tutto verrà trasferito su hardisk e memorie flash, col pericolo di immagazzinare enormi quantità di dati in supporti che potrebbero, un bel giorno, decidere di non funzionare più per mero capriccio. Le macchine hanno un'anima? Ricordo che mio padre, patito di automobili sportive, era solito parlare con loro, come fossero esseri in grado di sentirlo. E' certamente vero che ogni macchina ha un suo funzionamento e che questo stabilisce o meno un "feeling" con l'utente; devo approfindire l'animismo.
Scendendo più in profondità, prendo atto di come la velocità del sistema stia rendendo particamente inutile la memoria, e quindi l'archivio. Se sono materialmente impossibilitato a metabolizzare il vissuto, se tutto è vissuto un eterno presente, la funzione della memoria è declassata e il passato non conta nulla. Insieme a questi anche il concetto di responsabilità è vanificato dalla potente macchina tritatutto della comunicazione istantanea, della perfetta falsificabilità, duplucabilità e riproducibilità dell'era digitale: quando ogni copia è uguale a un'altra non è più possibile risalire all'origine/ale, alla fonte, ad un apice, tutto viene schiacciato, appiattito.
Perchè scrivo questo? Perchè cercavo disperatamente un documento nei miei archivi digitali, e quel cazzo di dvd ovviamente non voleva saperne di aprirsi; l'ho dovuto "scassinare" con un apposito software, che non mi ha restituito tutto il contenuto, avendo la sorte deciso prendersi gioco di me e di mantenere occulta per sempre proprio la cartellina al cui interno avrebbe pouto esservi - perchè sono sicuro che lì era - il mio documento.
Al suo posto un altro file, di tutt'altro genere, che però ha avuto il merito di farmi riflettere con un sorriso su quanto accaduto.
Il contenuto del file è il seguente:
«La cosa più ingiusta della vita è come finisce. Nel senso che la vita è dura e impiega la maggior parte del nostro tempo. E cosa ottieni alla fine? La morte. Che cos'è la morte, un bonus per aver vissuto? Il ciclo della vita dovrebbe essere completamente rovesciato. Bisognerebbe iniziare morendo, così ci si leva subito il pensiero.
Poi in un ospizio dal quale si viene cacciati perchè non abbastanza vecchi.
Cominci a lavorare, per vent'anni, fino a quando sei sufficientemente giovane per goderti la pensione di gioventù.
Subito a seguire feste, sesso, alcool, erba e il liceo.
Finalmente cominciano le elementari, diventi bambino, giochi e non hai responsabilità.
Una volta neonato, gatton gattoni fino a ritornare nel ventre di tua madre.
Trascorri lì tuoi ultimi nove mesi, galleggiando come su un materassimo in mezzo al mare, per finire la tua vita con un bell'orgasmo
».

Ineccepibile questo passo della Genesi. La vita dovrebbe essere vissuta al contrario, invertendo la direzione della freccia del tempo
Può darsi - è una mia ipotesi - che la caduta della memoria nell'oblio sia un segno di questa inversione, un punto di svolta, una boa esistenziale, un "omega point".
Ma può darsi anche di no.
Schiacciato tra Ila Prigogine e Frank Tipler, non sono in grado di fare ipotesi per il futuro. posso solo essere consapevole di vivere un'era di transizione sotto TUTTI i punti di vista, sociale-politico-economica.
La scala di valori otto-novecentesca (famiglia, scuola, lavoro, denaro, sesso ...) è stata sovvertita, triturata, miscelata, e non è possibile separare nuovamente i vari frutti una volta passati e messi nel bicchiere.
Mi fermo qui ...

mercoledì 4 marzo 2009

La sindrome di Stanford

Agosto 1971, Università di Stanford (California): lo psicologo Philip Zimbardo pubblica un annuncio su un giornale per selezionare 24 studenti sani, intelligenti, benestanti e appartenenti alla classe media, psicologicamente normali e senza nessun precedente violento con lo scopo di prendere parte a uno studio psicologico sulle dinamiche interpersonali insorgenti nell'ambito della vita in carcere.

L’esperimento, che avrebbe dovuto durare due settimane e coinvolgere i soggetti in una simulazione di vita carceraria condotta in ambiente scientifico strettamente monitorato, viene interrotto dopo soli cinque giorni perchè sfugge al controllo: una metà degli studenti si era trasformata in un branco di spietati aguzzini mentre l'altra metà mostrava evidenti segni di traumi psichici, depressione, apatico adattamento a restrizioni e abusi.

Lo stesso Zimbardo perde completamente la necessaria obiettività di supervisore finendo per immedesimarsi e lasciarsi coinvolgere nella repressione di una possibile fuga.
Non solo le cavie quindi, ma lo stesso sperimentatore perdono completamente il senso del limite tra realtà e finzione, e solo il provvidenziale intervento di amici e visitatori esterni riuscirà a far ravvedere e rinsavire Zimbardo, che subito sospende l'esperimento.

Ora, se l'idea di avere una popolazione costituita interamente da matti senza dubbio non aggrada nemmeno il potere totalitario, per l'ovvia impossibilità di potersene servire, la trasformazione di soggetti in apatici e disgregati sudditi nelle mani di pochi detentori del potere è invece una velleità molto più fascinosa.

Non va esclusa quindi l'ipotesi che qualcuno vi abbia pensato, tant'è che siamo qui a parlarne. Il punto è come riuscire nell'intento in maniera indolore, quasi piacevole, così da avere sudditi felici o schiavi rincoglioniti che mai e poi mai penseranno di ribellarsi.

Una tecnica potrebbe essere quella di fare in modo che la sensazione di prigionia sia impercettibile, pressochè nulla, rendendo invisibili sia i muri del carcere sia ogni possibile sospetto sull'esistenza di controllori. E invece che portarli in prigione, ad esempio, si potrebbe portare direttamente la prigione nelle loro case.
La televisione è un magnifico modo per imprigionare piacevolmente, creare quell'inconscio collettivo che essi poi realizzeranno, proprio come nell'esperimento di Stanford, finendo per crederci in pieno ritenendola l'unica realtà possibile. Mia suocera, ad esempio, è già interamente preda di questa sindrome, e chissà quanti altri come lei ve ne sono in giro.

Si tratterebbe insomma di raccontare delle balle, creare dal niente un gioco con regole dettate da noi: loro ci crederanno fino in fondo, e noi che abbiamo fatto le regole ne trarremo i benefici.
Il gioco si chiamerà "Economia" e sarà condotto con le regole della moneta, del signoraggio, e del debito pubblico; alcuni si divertiranno anche molto, altri meno, ma nessuno sospetterà, mai e poi mai, che si tratterà di una realtà virtuale.
Poi si potrebbe fare un altro gioco chiamato "Guerra", così se qualcuno perde nel gioco "Economia" e si arrabbia potrà azzannarsi coi compagni di cella senza sognare nemmeno di pensare a noi, cioè a quelli che hanno inventato il gioco.

Come ha dimostrato lo stesso Zimbardo divenuto cavia del suo esperimento, i controllori del gioco sbaglieranno facendosene troppo coinvolgere, contravvendo alla regola n.1 per cui il gioco, per essere sempre efficace, deve mantenersi invisibile.
Ma in seguito alla creazione della rete internet, inventata nel gioco chiamato "guerra", ed alla sua diffusione planetaria, il controllo è sfuggito di mano, e questa è una delle ragioni per cui in occidente stanno tentando - in ritardo - di regolamentarla, mentre in altri paesi la Rete è tenuta strettamente "a regime".

Come i Prigionieri di Stanford, dunque, completamente immersi in una realtà virtuale senza muri nè chiavi, è necessario liberarsi autonomamente da quei muri e quelle chiavi presenti unicamente nella nostra testa.

Tre gli scenari possibili:

- METODO INCRUENTO -
Se la maggior parte di voi diventerà consapevole di tutto ciò, non servirà praticamente altro per far crollare automaticamente, in modo del tutto incruento e nel giro di pochi giorni, l'intera prigione: basterà spegnere il televisore, usare i giornali solo per incartare il pesce o come fondale per i secchi di spazzatura organica, boicottare le banche e la finanza virtuale, astenervi da qualsiasi votazione e attribuzione di legittimità rappresentativa ai partiti, ascoltare il prossimo (che oggi vogliamo solo fregare) e coalizzarci contro il comune nemico.
Bisogna prendere atto che si tratta di una finzione, e dire "Mi sono stancato di questo gioco. Arrivederci". Tutto il diabolico incantesimo crollerebbe all'istante, ma bisogna essere in tanti, tantissimi, per poterlo fare.

- METODO CRUENTO -
Come ha dimostrato lo stesso Zimbardo, l'esperimento messo in atto è destinato a coinvolgere tutti gli attori, ad ogni livello, e non si arresterà proprio perchè tutti lo crederanno reale. Anzi, proprio quelli che dovevano esserne i controllori hanno dimostrato di essere travolti dal loro stesso gioco, e troppe cose sono trapelate, o sono comunque troppo sospette agli occhi dei più ( 11/9, signoraggio, esportazione della democrazia con la guerra, falsi attentati di Stato, attacchi a magistrati non politicizzati, smantellamento delle Nazioni e della Legalità in favore di "Trattati" riconosciuti unilateralmente, privatizzazione di beni pubblici come suolo, aria, acqua, esasperazione del controllo, e la lista potrebbe continuare).
Però le rivolte, scoppiando singolarmente qua e là, sarebbero lunghe, sanguinose, dolorosissime. Meglio svegliarsi insomma, e adottare SUBITO i semplici e incruenti accorgimenti di cui sopra.

- IL PIANETA DEI FOLLI -
La terza ipotesi, la peggiore di tutte, prevede che l' "esperimento", andando avanti a oltranza, sarà l' unico vincitore, senza che nessuno riesca più a fermarlo: le cavie, completamente e bilateralmente impazzite nel loro folle scambio di realtà, guideranno nello spazio un pianeta di pazzi finchè non sarà la Natura ad auto-tutelarsi ponendo fine all'esperienza umana.

mercoledì 25 febbraio 2009

Il postino

Non si tratta del postino di neruda, né tantomeno di quello con la faccia di Jack Nicholson che suonava sempre due volte, bensì più prosaicamente del postino italiano.
Ebbene, incrociando un postino nell'androne del palazzo, o meglio, una postina piacente, direi carina, che mi aveva citofonato per firmare, ho pensato a come è cambiato il loro ruolo, la loro figura.
Da personaggio positivo e familiare, cui si apriva sempre la porta di casa e alle volte si invitava a prendere un caffè o una tazza di brodo caldo contro i freddi invernali, oggi, per quanto piacente o carina, il postino/a è una figura negativa, che porta guai nella maggior parte dei casi.
Quando bussa alla porta è un uccello del malaugurio, un corvo, un gufo che spezza la fragile pax familiare e irrompe con la sua inconsapevole negatività direttamente nel centro del salotto, dopo che la notifica di una multa o di una cartella pazza è stata effettuata.
La gente - me compreso - li fugge come il peggiore dei mali, e sono certo che, poverini, si beccano sostanziose e quotidiane razioni di improperi.
Ultimo ingranaggio del potere amministrativo, e quindi politico, il postino contemporaneo a contratto trimestrale è la trincea della pervasività assillante dello Stato e del Mercato messi insieme.
Una vera e propria iattura, insomma.
Una volta un ex amico un po' anarchico mi disse che per bloccare questo Sistema iniquo e antidemocratico era perfettamente inutile ammazzare politici o giuslavoristi, perchè è come voler combattere il tumore solleticando la metastasi.
Più che sufficiente invece eliminare postini e ufficiali giudiziari: chi accetterebbe un lavoro così a rischio, dopo che cento, mille dei loro sono stati selvaggiamente picchiati in ogni quartiere di tutte le città d'Italia?
Le notifiche avverebbero a mezzo esercito? Oppure a mano armata?
A quel punto, però, la democrazia avrebbe raggiunto l'omega point, con tutte le conseguenza del caso.
E come dargli torto.

martedì 24 febbraio 2009

il vangelo secondo De Luca

Che un esponente politico salernitano possa aspirare alla carica di presidente della Campania è del tutto normale. In quasi quarant'anni di vita regionale solo tre volte questo ruolo è stato ricoperto da un non napoletano. Che il Pd possa candidarlo è oggi del tutto probabile. Che possa poi aspirare a vincere brandendo la bandiera anti-napoletana è un ulteriore segnale dell'impazzimento della politica regionale e nazionale.
Stiamo parlando di Vincenzo De Luca.
Dopo l'uscita di scena di Nicolais a seguito dello scontro con la Iervolino, a Veltroni non resta, tra i suoi fedelissimi, che il sindaco di Salerno. Si spiega così il paradosso di questi giorni: dopo critiche feroci a Bassolino è sembrato quasi che il segretario del Pd facesse il tifo perché il governatore restasse al suo posto, sia perché la sua leadership non può sopportare la seconda sconfitta dopo quella subita in Abruzzo, sia perché De Luca è rinviato a giudizio per associazione a delinquere, concussione e truffa e il processo non si svolgerà in tempi brevissimi.
In questo momento, dunque, i principali oppositori del governatore bassolino, cioè Veltroni e De Luca, non sono realmente interessati alle sue dimissioni.
E allora parliamo di De Luca, rompendo questo cono d'ombra che avvolge le vicende politiche non napoletane. Che razza di regionalismo è il nostro se i giornali si interessano solo della politica napoletana e quasi niente della «quotidianità» politica e istituzionale delle altre province? Il napolicentrismo esiste sicuramente nel lavoro dei media, che avendo un pubblico potenziale di tre milioni di abitanti ruotanti su Napoli, non ritengono di dare spazio alle vicende degli altri territori, se non confinandole nelle apposite cronache provinciali, tranne i fatti di sangue più clamorosi.
Vivendo in provincia di Salerno e avendo operato quasi sempre a Napoli spesso mi trovo a constatare che di ciò che fa notizia a Salerno non si sa niente a Napoli, e invece ciò che succede a Napoli lo sa tutta la Campania e l'Italia. De Luca ha prima sofferto di questo particolare aregionalismo dell'informazione e poi ne ha approfittato, vedremo come.

Tutto è cominciato nel 1993. È la stagione dei sindaci, e Bassolino, Bianco e Orlando sono famosissimi. Lui comincia a definirli le «madonne pellegrine », esasperato dal successo che hanno in giro per l'Italia. Le grandi città dominano la scena, e le piccole e medie non hanno grande visibilità. Per De Luca le difficoltà di imporsi sono duplici. Non può giocare sulla «discontinuità» con il sistema di potere precedente, così come possono tranquillamente fare tutti i nuovi sindaci. Lui è stato vicesindaco durante il dominio di Carmelo Conte e Salerno non è una città allo sfascio, perché le amministrazioni precedenti non hanno amministrato così male come a Napoli. E soprattutto non può tuonare contro «quelli di prima», perché lui è stato uno dei più autorevoli e influenti «uomini di prima». Appartiene al passato regime, confuso con i vituperati socialisti, e dunque deve inventarsi qualcosa perché nel 1993 va al ballottaggio di misura e vince di misura. D'altra parte Salerno è una città media, schiacciata dalla presenza di Napoli e dall'opinione che ha nel mondo, di cui soffre come quasi tutti i salernitani che fanno della città partenopea paragone e vincolo della loro storia.
Come risolvere, dunque, il problema di una visibile discontinuità all'interno della città, e di una forte identità nei confronti del resto del mondo? La costruzione del mito di sindaco faber non è sufficiente. Il disegno urbanistico immaginato dai socialisti è notevole (criticabili sul piano clientelare e affaristico, i «contiani» hanno idee chiare sul futuro di una città di mare di medie dimensioni) e lui può tutt'al più diventarne l'esecutore, può completarlo non certo passare per l'ideatore. Ci vuole dell'altro.
Il problema lo risolve mettendosi politicamente e culturalmente in sintonia con il centrodestra salernitano, prendendo le distanze dalle tradizioni e dai riferimenti culturali e sociali della sinistra. Tutti i temi cari alla destra salernitana vengono da lui sapientemente inalberati e seguiti, a partire dall'antipolitica e dall'antinapoletanismo viscerale, e più recentemente dalle crociate contro gli immigrati («li prenderemo a calci nei denti e li butteremo a mare ») e le prostitute, dotando le guardie comunali di manganelli («prima che ci scappi un nostro morto »). Su questo costruisce la sua nuova immagine (lui che per il suo estremismo rivoluzionario veniva definito Pol Pot nel vecchio Pci) utilizzando benissimo una tv locale dove tiene una trasmissione settimanale a cui, crollasse il mondo, non è mai mancato in 15 anni. Solo Cito, il fantasmagorico sindaco di Taranto, poteva competere con lui per l'uso del mezzo televisivo. Sul piano economico diventa un accorto difensore della rendita immobiliare e apre una stagione d'oro per i costruttori e per i grandi proprietari di suoli e di case. Trasforma spregiudicatamente la vocazione industriale della città in commerciale, tenendo in mano con due fedelissimi da un lato l'Asi e le aree dimesse e dall'altro lo sportello unico dove si autorizzano le nuove destinazioni dei suoli. E paradosso di una città resa più vivibile è la notevole perdita di abitanti (ben 14 mila) dovuta a un innalzamento dei prezzi delle case che non ha eguali in Campania. Lega a sé le famiglie storiche dei costruttori edili di Salerno, che prima dividevano i loro favori tra la Dc, il Psi e anche il Msi, e che ora si rivolgono esclusivamente a lui. Il potere politico, economico salernitano diventa potere monocratico, una piramide con un sindaco-faraone ai vertici. Avversari-amici La destra ufficiale salernitana ha fatto, nel corso di questi anni, buon viso a cattivo gioco (An lo ha definito un «fascista in camicia rossa») e non ha mai svolto una opposizione degna di questo nome, perché poi il suo elettorato torna all'ovile nelle elezioni politiche. Il senatore Paravia, eletto in quota An, è stato da presidente di Confindustria il suo principale sostenitore, e Cirielli, candidato alla Provincia per il Polo, si alzò in Parlamento a difenderlo, dopo che la Procura di Salerno ne aveva chiesto l'arresto e il gip per tre volte l'aveva negato, sostenendo la non utilizzazione delle intercettazioni telefoniche che lo riguardavano (ben 250). Immaginate cosa sarebbe successo se a Napoli sull'inchiesta Romeo gli esponenti del Polo avessero difeso la Iervolino? Politica, ideologia, antropologia Se la discontinuità la risolve mettendosi in sintonia con i temi cari al centrodestra, De Luca si dà una forte identità investendo tutte le sue risorse nel cavalcare gli umori antinapoletani, fino a costruirci non solo una strategia politica, un'ideologia e perfino un'antropologia. Attacca Bassolino quando è ancora il sindaco più amato dagli italiani non per preveggenza, ma solo perché avrebbe attaccato anche il Papa se lo avessero eletto primo cittadino di Napoli. E la prima vera occasione gli viene fornita dalle elezioni europee del 1999. I candidati scelti dai Ds sono Giorgio Napolitano come capolista e Biagio de Giovanni per la riconferma. Non c'è spazio per De Luca, che ci teneva molto. E allora il nostro va in escandescenze, definisce l'attuale Presidente della Repubblica «un abatino, che non si è mai stentato niente» e de Giovanni con epiteti irripetibili. Bassolino e il partito di Napoli, che avevano sostenuto quelle indicazioni, vengono sottoposti a un fuoco di improperi, che trovano successivamente svolgimento in un vero e proprio vocabolario sulla immoralità e inaffidabilità dei napoletani. L'anno dopo ci sono le elezioni regionali. De Luca pensa di candidarsi come presidente. Deve lasciare il Comune perché si avvicina la scadenza del secondo mandato e le titubanze di Bassolino sembrano offrirgli una possibilità. Gambale e una parte della Margherita lo propongono ufficialmente. Per qualche settimana lui ci crede e corteggia insistentemente De Mita. Poi Bassolino decide, e allora diventa una furia. Durante la campagna elettorale Bassolino e Rastrelli sono contemporaneamente a Salerno e lui preferisce con ostentazione incontrare Rastrelli e disertare la manifestazione del candidato del centrosinistra. Da quel momento in poi il rancore diventa linea politica, mischiando all'avversione per la persona l'avversione per la città di cui Bassolino è stato sindaco. E dall'ideologia antinapoletana (Salerno ostacolata nelle sue aspirazioni di crescita dal parassitismo di Napoli) si passa all'antropologia antinapoletana, il cui prototipo è un manager scelto per una Asl di Salerno, un «cafone arricchito » che si presenta con una catenina appariscente al collo e con i sandali. Qualcosa in più di un leghismo in salsa salernitana.
Non solo Napoli si sostituisce a Roma come ladrona, ma trasforma la città partenopea in un caravanserraglio abitato da una etnia politica e sociale fatta di cafoni, imbroglioni, plebei, degna patria di camorristi e delinquenti. Scontro «etnico» anche contro De Mita De Luca spinge il contrasto politico in scontro «etnico» anche nei confronti di De Mita, che lusinga nel periodo di contrapposizione dell'uomo di Nusco a Bassolino per poi osteggiarlo nelle primarie così fortemente da identificare negli avellinesi degli zotici montanari colonizzatori. E mettendo in difficoltà un'encomiabile classe dirigente salenitana che ha lavorato sull'asse Avellino-Salerno per il comune sviluppo, a partire dalla collocazione fisica dell'Università, a metà strada tra i due capoluoghi. Alla fine quest'impostazione non solo alimenta semi permanenti di discordia, di razzismo intraregionale, ma produce danni economici consistenti, come nel caso della gestione dell'aeroporto di Pontecagnano che, per evitare la normale alleanza con l'odiata «napoletana» Gesac che gestisce l'aeroporto di Capodichino, è stata affidata a una società che ha portato alla chiusura dello scalo dopo pochi mesi dall'apertura. Ciò che l'economia impone e i tempi richiedono (un asse Salerno-Avellino per ricongiungersi con Bari, e un asse Salerno-Napoli per ricongiungersi con Roma) viene ostacolato da un pansalernismo aggressivo, contrario a ogni logica di sana politica e di sana economia, negazione del nostro già fragile regionalismo. Su questa linea De Luca ha avuto sempre una specie di salvacondotto prima da D'Alema, poi da Fassino e infine da Veltroni e Bettini, libero di dire e fare quello che voleva, anche cose lontanissime da una cultura di sinistra, a condizione di tenere viva la polemica contro il comune nemico Bassolino. Un feudatario locale che si allea con Roma per contrastare il grande feudo di Napoli. A nessun altro dirigente locale di provenienza Pci è stato concesso tanto, pur avendo egli cambiato posizioni numerosissime volte, sicuro che la storia deve coincidere con le sue aspirazioni e quando non lo fa deve essere corretta. La ricerca affannosa dell'efficienza Contrario al Pd (e alle primarie), De Luca ne è diventato uno dei massimi dirigenti; contrario ai partiti e alla «politica politicante» (lui che ha svolto sempre e solo il lavoro di funzionario di partito e di uomo delle istituzioni) se n'è fatto a Salerno uno a sua immagine e somiglianza, senza spazio per il più minimo dissenso; contrario alle discariche e ai termovalorizzatori (andava alle manifestazioni contrarie nel periodo più critico della crisi dei rifiuti con la fascia tricolore) ne è diventato in pochi giorni il più appassionato sostenitore quando ha pensato di utilizzare le difficoltà di Bassolino e degli altri nel realizzarli; contrario all'uso delle intercettazioni nel suo processo (piene di volgarità da fare impallidire anche i più scafati uomini di potere) si scaglia contro i politici intercettati nella vicenda Romeo dicendo che lui, al loro posto, avrebbe chiesto scusa ai napoletani (per essere credibile avrebbe fatto prima a chiedere scusa ai salernitani).
Se a Napoli Bassolino o la Iervolino avessero come loro segretario particolare un presidente di una società mista o di una municipalizzata, cosa si sarebbe scritto sui giornali? A Salerno avviene tranquillamente. Se metà degli organismi dirigenti del partito napoletano fosse rappresentata da funzionari, dirigenti e ammini-stratori di società miste, municipalizzate o società partecipate dal Comune o dalla Regione, immaginiamo cosa avrebbero scritto i giornali? E se nelle società miste le assunzioni si facessero senza concorso ma solo per chiamata dalle agenzie di lavoro interinale, come si dovrebbe definire ciò? E se in aggiunta venissero spesso pescati tra gli assunti parenti di politici legati a De Luca o di amministratori di altre società comunali, come si qualificherebbe ciò? Ma i grandi giornali napoletani sono distratti, anzi la ricerca affannosa dell'efficienza da contrapporre a Napoli fa spesso sorvolare su alcuni dettagli morali. Che guaio per la democrazia quando si pone l'alternativa tra onestà immobile e dinamismo spregiudicato! In vetta tra i primi cittadini Oggi De Luca è al quarto posto in Italia nella classifica dei sindaci più amati dai loro concittadini (dopo Chiamparino, Tosi e Scopelliti), aspira alla guida della Regione e sta tenendo in giro per la provincia di Napoli diverse iniziative pubbliche in cui chiama a raccolta il contado contro la città. Nelle solide democrazie con la propria candidatura inizia la fase in cui non si possono più tenere scheletri nell'armadio. Mi piacerebbe, ad esempio, che alcuni intellettuali napoletani che hanno chiesto insistentemente la pubblicazione del nastro registrato del colloquio domenicale tra Iervolino, Nicolais e Iannuzzi, con la stessa foga chiedessero anche la pubblicazione delle intercettazioni dell'unico ex deputato campano a cui la «politica politicante» ha salvato (finora) la carriera. E torno alla domanda iniziale: vedremo candidato alla guida della Regione un politico che ha costruito tutta la sua ascesa sulla contrapposizione a Napoli? È questo il regionalismo del Pd? Dopo aver visto il ministro-ombra per le riforme istituzionali proporre un'alleanza con la Lega, perché meravigliarsi che in Campania sia uno stesso esponente del Pd a farsi leghista?

fonte: corriere del mezzogiorno del 26 gennaio 2009

mercoledì 18 febbraio 2009

dal Vangelo secondo Luca: 16,1-13

Arrivare in una posizione di comando è un'aspirazione che prima o poi coglie tutti, dunque inutile vergognarsene. Come ogni malattia che non prevede cure, la voglia di affermarsi alimenta se stessi senza pentimenti nella propria personale conquista della "posizione".
Ma il potere finisce quasi sempre per avere il suo inevitabile appeal, e poichè a nessuno fa schifo avere ragione, non c'è modo migliore per averla che quella di poterla imporre proprio sulla base della posizione che si occupa o dei rapporti di forza che si stabiliscono.
Godere del potere è una sensazione che una volta provata non si può dimenticare, così tanto vale puntare a godere il più a lungo possibile, costi quel che costi, alla faccia di quanti dovranno pagare dazio per la nostra soddisfazione: per uno che gode, ci sono molti che dovranno soffrire.
Dunque il potere, volenti o nolenti, contribuisce in maniera rilevante a rendere plausibile la sindrome della "carogna di rispetto", la coltiva e la razionalizza: chi comanda non ha tempo di andare per il sottile, di farsi degli scrupoli, e se c'è qualcuno che vuole convincerrti del contrario quello è il più pericoloso. Ogni tentennamento sarebbe infatti un segno di debolezza, metterebbe sul chi va là gli obbedienti recalcitranti, alimenterebbe tentazioni alla defezione, finirebbe con il legittimare i mediocri consentendo a tutti di sperare; ma la speranza è un vizio che produce aspetattive, e queste prima o poi pretenderanno di essere soddisfatte. Mai lasciare spazio alle speranze.
Il potere, com'è noto, non può essere di tutti, per questo è essenziale partire avvantaggiati. Chi lo ha detto che bisogna essere corretti alla partenza? In fondo, essere "figli di ..." non è colpa di nessuno, si nasce senza volerlo, tanto vale approfittarne. Qui, tanto per esser chiari, non è questioni di giustizia o di altre malinconie del genere, ma è solo semplicemente questione di culo, che, come tutti forse sanno, in prospettiva non sarà mai un fattore democratico, mentre è assolutamente neutro nella sua distribuzione originaria.
Per i figli nati bene c'è sempre unm paradiso. Gli altri? Chi se ne frega degli altri! E' vero che qualcuno senza storia mastica voglie che non gli competono, ed è anche probabile che qualcuno ce la faccia, è già accaduto. Ma c'è pronta una compensazione tra i predestinati e alla lunga si converge; e così, chi impropriamente afferma se stesso alzando la testa senza pudore finirà quesi sempre per somigliare - in anticipo - a quelli che una storia ce l'hanno già in proprio. In fondo, è un piacere scoprire qualcuno che afferma il potere come unica ragione di vita.
Il mondo corre, tutti si affrettano, ognuno ha la sua chance, l'agitazione è generale, e i cammini alle volte si intrecciano, convergendo oppure ostacolandosi tra loro.
Tu sei lì, con quella sensazione di impotenza che deriva dal fatto di non avere risorse pregiate da giocare; un curriculum, il tuo, senza né arte né parte, grigio come la giornata che si profila. Qualche lavoretto di supporto, per carità fatto con diligenza, è roba da poco, non si può andare al mercato con merce così striminzita. Almeno parlassi bene l'inglese! Tua madre te lo aveva detto, quando le estati erano ancora lunghe e libere, di profittare per impararlo; ma tu avevi ben altro per la testa, e come al solito sei in ritardo. Si, è vero, biascichi qualcosa, ma nel complesso fai ridere.
Tutto ciò che è a buon mercato quasi sempre non vale niente, per questo non dovrebbe essere concesso di sperare a chi non ha i fondamenti per guardare un futuro migliore, potrebbero crearsi false aspettative e aumentare la delusione per un futuro che non verrà mai, o che non verrà come si era immaginato.
Come conciliare dunque la propensione al comando con una condizione oggettivamente svantaggiata? Come canalizzare la frustrazione al di là di un'assemblea condominiale o di un sorpasso azzardato dopo un'ora di traffico inutilmente bloccato? Quale strada imboccare per arrivare a soddisfare i propri inattuali progetti senza lasciarsi prendere dallo sconforto per il deprecabile punto di partenza cui il destino ci ha costretti?
Se la spinta ad arrivare è tale da non poter essere controllata, soprattutto per via dell'ambizione o dello spirito di rivalsa che tormenta in seguito a tutte le umiliazioni subite, è dunque giunto il momento di aiutarsi con i classici, che sono sempre un'autorevole fonte d'ispirazione.
E cosa c'è di più classico del Vangelo? Avendo una risposta per ogni tipo di problema, non ci resta che cercare e trovare quella che fa al caso nostro, così che l'occhio finalmente è rapito dalle illuminanti suggestioni della Parabola del servitore infedele (Luca: 16,1 -13).
Da questa parabola abbiamo imparato che:
1) c'è sempre un momento di crisi nella vita di ogni uomo, basta non farsi trovare impreparati;
2) ciascun momento dipana sempre un rapporto privilegiato con qualcuno che si fida di noi;
3) per essere apprezzati, talvolta bisogna barare.
Incredibile, ma è così.

giovedì 1 gennaio 2009

A ruota libera

Un sms ogni 45 secondi: questa è stata la media ieri sera, ultimo dell'anno, con la quale l'italica umanità (me compreso) scambiava compulsivamente auguri a mezzo cellulare facendo tintinnare le relative suonerie tra le 23.45 e le 00.15.

La Formula 1 è una manifestazione ormai anacronistica seguita da un esiguo numero di persone che non si sono accorte della morte della velocità. E' da un po', infatti, che le gare non vengono vinte da chi corre più veloce, come ancora oggi accade per quelle di moto, bensì da chi gestisce al meglio il pit stop, il rifornimento, la sosta. La differenza dunque non è più nella velocità ma nella pausa. La velocità pura - almeno per le auto - è morta, e con lei la Formula 1.
L'imminente tracollo delle grandi marche mondiali americane, Ford, GM, Chrysler, con i motori tremila di cilindrata e 4 chilometri con un litro di benzina, sono la conferma ulteriore di un modello economico e di uno stile di vita divenuto obsoleto. L'11 settembre era necessario per questo, per rimpinguare un'intera economia fondata sul petrolio e sui petroldollari
Invece si è scoperto che le economie di guerra keynesianamente intese non sono più in grado di tamponare le recessioni e di fungere da volano per il rilancio, perchè non ostante cinque anni di guerra in America è arrivato il collasso economico, mentre sarebbe dovuto avvenire il contrario.
Si può quindi affermare senza timore di smentita che ieri, soltanto ieri, con la morte della velocità, è finito il XX.mo secolo.