sabato 29 agosto 2015

Breve storia del proibizionismo in Italia


La proposta di 218 parlamentari per un diverso assetto legislativo della cannabis ha suscitato una grandinata di dichiarazioni di politici e di esperti.
Per il cittadino non è facile orientarsi di fronte a tante inconciliabili posizioni. Può forse aiutarlo ricostruire la storia della legislazione che ha proibito la cannabis in Italia, mostrando che non è nata per arginare un abuso e quando l'abuso è arrivato la legge che lo proibiva poco ha potuto.
La chiave è racchiusa in un fascicolo della Direzione Generale della Sanità pubblica del Ministero degli Interni, conservato all'Archivio di Stato. Tutto iniziò con la risposta della Direzione al console greco in data 21 giugno 1906, se in Italia la cannabis potesse essere importata e venduta: la cannabis e i suoi derivati "[...] debbono essere considerate sostanze medicamentose dotate, per la loro azione fisiologica, di proprietà venefiche e pertanto, in base alle leggi vigenti, debbono essere vendute in dose e forma di medicinale dai farmacisti, che devono conservarle in appositi armadi [...]".
Il problema era gestire il complicato caso che vedeva il porto di Brindisi fare da tramite nel contrabbando di hashish tra la Grecia, paese produttore, e l’Egitto paese consumatore ma rigidamente proibizionista.
Nella nota riservata del novembre 1908 inviata dal direttore generale della pubblica sicurezza al suo omologo della sanità pubblica si illustrano le doglianze delle autorità anglo-egiziane per il contrabbando di hashish ad opera di marinai italiani imbarcati sui piroscafi Isis e Osiris della Peninsular & Oriental Company, la compagnia di navigazione inglese che faceva rotta tra il porto di Brindisi e l'Egitto.
Le verifiche svolte dal Prefetto di Lecce avevano acclarato che "[...] effettivamente Brindisi è il centro più importante del commercio dell'hashish e poiché questo producesi in Grecia, e Brindisi è non solo il porto più vicino alla Grecia ma altresì quello dal quale parte il maggior numero di Piroscafi verso Alessandria d'Egitto.
Dell'importazione dalla Grecia dell'hashish si occupa largamente in Brindisi con lauti guadagni la ditta Valori Ercole, suddito turco, e ve ne interessa pure il suddito greco Prasso Dimitri, da tempo residente nel Regno [...] Da Brindisi l'importazione per Alessandria d'Egitto è fatta per mezzo del basso personale di bordo dei piroscafi diretti a quella volta, senza distinzione fra legni appartenenti a società di navigazione italiana e straniere [...]".
Nella nota ci si chiedeva di possibili conseguenze sulla salute pubblica, ancorché "[...] quanto fin qui risulta il consumo dell'hashish non ha fortunatamente alcuna diffusione nel Regno[...]".
Gli eventi si complicano nel successivo mese di maggio, quando l'agente della Peninsular a Brindisi scriveva ad un non meglio precisato onorevole, da identificarsi probabilmente in Pietro Chimienti il cui collegio era proprio quello di Brindisi, che riguardo all'affare dell'hashish la cosa si è fatta di colpo molto seria. L'agente spiegava che le loro navi Isis e Osiris, in servizio tra Brindisi e l'Egitto, ogni tre mesi andavano nel bacino galleggiante della Compagnia del Canale di Suez a Port Said per pulire la carena. Ebbene, "[...] il piroscafo Isis fu pulito pochi giorni or sono ed al suo arrivo ieri il comandante m'informò che a lavoro finito, e quindi il battello aveva già abbandonato il dock, la dogana egiziana trovò 94 pezzi di hashish pari a circa 270 libbre (più di 120 chilogrammi). Con questa scoperta la Compagnia del canale si è trovata in una situazione parecchio imbarazzante e difficile con la dogana egiziana [...]".
L'onorevole Chimient, in un intervento alla Camera, denunciava la situazione per l'igiene ed il buon nome dell'Italia, aggiungendo che la diversione attraverso Brindisi era causata dal trattato bilaterale che impediva l'esportazione della cannabis dalla Grecia all'Egitto. La proposta di Chimienti era di proibirla per misura sanitaria, ovvero modificare al riguardo il repertorio doganale rimandandola, cioè, sotto la voce "tabacco".
Il 19 agosto 1909 il Ministro degli Esteri Tittoni scriveva allarmato al Presidente del Consiglio Giolitti, sottolineando il grave pericolo insito nella minaccia della compagnia di evitare lo scalo di Brindisi. Nella missiva troviamo forse la prima specifica proposta di legislazione antiproibizionista: "[...] Ti prego di voler considerare se non sia il caso di presentare al parlamento un progetto di legge che vieti  - perché pernicioso alla salute pubblica - il commercio dell'hashish [...]".
Giolitti sapeva che non era applicabile all'hashish un divieto di importazione in quanto medicamento, ma vedeva applicabile ai suoi contrabbandieri il disposto dell'art. 90 della Legge di Pubblica Sicurezza, permettendone quindi l'espulsione. >per motivare il pericolo per l'ordine pubblico, Giolitti attingeva alle informazioni ricevute dal Chimienti, secondo il quale il proseguimento del contrabbando avrebbe indotto la Peninsular a sostituire gli equipaggi italiani con quelli indiani, provocando disoccupazione e perdita di salari: abbastanza per istigare disordini. Giolitti non tralasciava "[...] la giusta apprensione causata dalla continua presenza in Italia di così rilevanti quantità di velenoso narcotico [...]".
La conseguenza fu l'espulsione dal regno dei due commercianti in oggetto , ma di questo, sorprendentemente, il Chimienti si doleva in una su amissiva a Giolittinella quale rilevava l'illegittimità dell'atto. avvertendo che l'hashish cominciava ad essere fumato a Brindisi, il Chimienti sollecitava un radicale provvedimento di proibizione di importazione in Italia del "pericolosissimo veleno" in quanto nocivo alla salute.
Iniziava così un contenzioso legale con sospensione del provvedimento e ritorno del valaori Brindisi. Intanto, per dispositivo del Ministero delle Finanze, il "prodotto hashish" che prima era ammesso alla libera importazione sotto la voce "medicamenti" era assimilato al sugo di tabacco del quale "[...] la libera importazione è proibita [...]".
Così la soluzione fu di carattere merceologico e consistè nell'omologazione dell'hashish ad un potentissimo tossico quale il succo di tabacco.
la cannabis acquisiva una sua speciale legislazione non perchè il suo consumo si fosse diffuso in maniera pericolosa ma perchè si voleva evitare che alcuni porti fossero luoghi di transito della sostanza.
Si spiega così perchè il controllo sulla cannabis fosse tra le proposte contenute tra le istruzioni che il Ministero degli Esteri invia all'ambasciatore a Washington, in preparazione della Conferenza dell'Aia del 1912. "[...] Questo ministero desidera ancora che la prossima conferenza internazionale abbia ad occuparsi anche del traffico della canapa indiana e dell'hashish [...] Il nostro paese ha un interesse speciale a che la questione dell'hashish sia definita in via internazionale, non perchè l'Italia sia produttore o consumatore di quella sostanza ma perchè poco scrupolosi speculatori nazionali ed esteri hanno scelto il territorio italiano come luogo di deposito e di concentrazione dell'hashish per poi fare la riesportazione in contrabbando nei paesi ove il traffico di tale sostanza è vietato [...]".
L'Italia trovo il solo sostegno degli Stati Uniti e pertanto il punto non fu discusso, sebbene si ritenesse utile un approfondimento scientifico del problema.
Nel 1923 la cannabis ed i suoi derivati furono inclusi tra le sostanze controllate dalla prima legge italiana sugli stupefacenti, e ancora nel 1938 si può leggere negli Annali di Igiene che "[...] la sanità fondamentale del popolo italiano viene dimostrata dal fatto che, sebbene in Italia la canapa venga largamente coltivata, mai è sorto il problema dell'uso di essa come sostanza voluttuaria. Invece nell'America settentrionale, nell'Africa meridionale e nell'Oriente questo vizio preoccupa vivamente [...]".
Tuttavia, né la pretesa sanità fondamentale né la legge proteggerà il popolo italiano dalla cannabis quando trent'anni dopo gli spinelli cominceranno a circolare. Lo spirito del tempo era mutato e da allora la cannabis è considerata - da una consistente fetta della società - uno strumento ricreativo di scarso peso tossicologico. Non è male che si cominci a prenderne atto.


Fonte: Il Sole 24 ore, 26 luglio 2015 pg 27.

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