«Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perchè certamente moriresti». L'avvertimento dall'alto si rivelò meno efficace dei suggerimenti dal basso: migliore psicologo, il serpente trionfò.
Prima viveva nel presentimento del sapere, in una scienza che ignorava se stessa, in una falsa innocenza, propizia all'esplodere della gelosia, vizio generato dal contatto con chi è più fortunato di noi. Ora, il nostro progenitore frequentava Dio, lo spiava ed era da lui spiato: non poteva derivarne nulla di buono.
L'uomo, del resto, non chiedeva che di morire: volendo eguagliare il suo creatore nel sapere anzichè nell'immortalità, non aveva alcun desiderio di raggiungere l'albero della vita, non gli interessava affatto; e di questo Dio parve rendersi conto, giacchè non gliene proibì nemmeno l'accesso: perchè temere l'immortalità di un ignorante?
Se l'ignorante avesse mirato a entrambi gli alberi e fosse entrato in possesso sia dell'eternità sia della scienza, allora si che tutto sarebbe cambiato.
Se non lo fece, fu perchè sapeva senza alcun dubbio che l'uomo, aspirando subdolamente alla dignità di mostro, non si sarebbe lasciato sedurre dalla prospettiva dell'immortalità, troppo accessibile, troppo banale: d'altronde, non era essa la legge, lo stesso statuto del luogo in cui egli si trovava, il paradiso?
Vi cedette? Piuttosto la invocò. In lui si manifestava già quell'inattitudine alla felicità, qiell'incapacità di sopportarla che tutti abbiamo ereditato. Egli l'aveva sottomano, poteva farla sua per sempre; la respinse, e da allora la inseguiamo senza ritrovarla; e se anche la ritrovassimo, non ci adatteremmo ad essa meglio di allora. Cos'altro aspettarsi da una carriera iniziata con un'effrazione alla saggezza, con un'infedeltà al dono d'ignoranza che il creatore ci aveva elargito? Precipitati nel tempo del sapere, fummo simultaneamente dotati di un destino, giacchè non v'è destino se non fuori del paradiso.
E. Cioran - La caduta nel tempo
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